Nata in Egitto da una famiglia armena, Anna Boghiguian (Cairo, 1946) è un’artista poliedrica che ha studiato prima al Cairo all’Università americana, e poi ha attraversato la costa mediterranea, il Mar Egeo, l’Atlantico e Montréal, il Messico, l’Oceano Indiano e il Mar Arabico. Canadese di adozione, ha fatto del viaggio una delle sue principali fonti di ispirazione. La sua opera poetica spazia tra dipinti, disegni, collage, sculture, installazioni e narrazioni. Mentre la sua affinità per la letteratura e le parole, prese in prestito e stravolte, informano un lavoro in costante movimento che ha bisogno di andare oltre ogni confine. La conversazione che segue è stata realizzata in concomitanza con l’apertura della mostra di Anna Boghiguian A Clown Jumped into the Arena (4 novembre 2023 – 10 febbraio 2024) alla Galleria Franco Noero a Torino.
FV: L’opera Conversations with Clarice (2019) è una tua installazione esposta da Mendes Wood DM (Brasile, 2019) e a Manifesta 13 (Marsiglia, 2020), dove abbiamo lavorato insieme per la prima volta. Il tuo lavoro, un incrocio di disegni, dipinti e sculture, partiva dal romanzo di Clarice Lispector La passione secondo G. H. (1964), e in particolare quel momento in cui G. H., la voce narrante, si rende conto della presenza di uno scarafaggio nel suo armadio. Ricordo che nel romanzo vengono meno tutte le certezze della protagonista nel momento in cui l’insetto le appare.
AB: Tutto il mio lavoro, i miei disegni, nascono da una visione. Nel romanzo di Lispector, lo scarafaggio salta fuori da un angolo buio, interno, come qualcosa di inaspettato e traumatico.
FV: Come un’apparizione giocosa ma spaventosa. Ma lo scarafaggio è anche uno degli insetti più resistenti al mondo, arrampicatore instancabile a cui nessuna superficie può resistere. Quell’immagine viene da te rappresentata attraverso uno scarafaggio che vola libero dal cielo guardando verso il terreno intorno al quale esponevi i disegni che partivano dai libri di Lispector.
AB: Tutto questo nasce anche da un dialogo. Nel 2020, accanto a quest’opera a Manifesta 13, abbiamo esposto il lavoro To the Lighthouse (2019), una versione abbreviata e illustrata del romanzo omonimo di Virginia Woolf [To the Lighthouse, 1927, conosciuto in Italia come Gita al faro], con [ventitré] dipinti acrilici su metallo.
FV: Come possiamo leggere questo dialogo?
AB: È possibile leggere questo dialogo attraverso diversi livelli. Clarice Lispector ha una filosofia della comprensione che si legge in tutti i suoi libri, come in Acqua viva (1973). Ho pensato di metterla in dialogo con Virginia Woolf, perché la scrittrice inglese ha avuto una grande influenza sulla scrittura di Clarice Lispector. Virginia Woolf ha cambiato completamente la scrittura, ha cambiato il modo di scrivere narrativa. Ed è molto interessante che nella sua scrittura le cose non si muovano. Lo stesso vale per Lispector: le cose ci sono, si muovono ma non si muovono. Diventano conversazioni e situazioni, nulla di ciò costituiva il romanzo in precedenza.
FV: La delicatezza di Clarice Lispector ricorda in un certo senso quella di Virginia Woolf… L’intera mostra è questa conversazione tra due donne che hanno esplorato i limiti semantici della letteratura, riformulando la scrittura narrativa dall’interno. E poi c’è la tua risposta visiva, dove i disegni arricchiscono i testi e permettono una nuova lettura, al di là del linguaggio.
AB: Nel mio lavoro i testi sono uniti alla pittura. Ho fatto anche altri lavori che provengono dagli scritti di poeti e personaggi, come quelli su Rabindranath Tagore e Friedrich Nietzsche.
FV: Quando e come queste immagini sono diventate chiare nella tua mente durante la lettura di testi e romanzi?
AB: È una questione di abitudine. Stavo realizzando un libro d’artista e diverse illustrazioni che sono state pubblicate dall’editore francese Fata Morgana. Ad esempio: Poèmes di Constantine Cavafy, Fata Morgana (1997); Carnet égyptien di Giuseppe Ungaretti, Fata Morgana (2000); e il mio libro Immagini del Nilo (2000). I libri sono diventati delle traduzioni di alcuni testi in immagini. È una cosa molto frequente per me lavorare il letterale per renderlo visivo.
FV: Inizi ad abbozzare i disegni con una struttura già in mente, o lavori prima disegnando piccoli frammenti che poi assembli in un unico lavoro?
AB: Inizio da piccoli pezzi, immagini, e da lì si sviluppa. Ma dipende, alcune volte l’immagine è visivamente molto chiara e la disegno senza alcuna esitazione, so cosa fare e vado avanti. Ma a volte mi capita di esaurire le immagini nella mia mente.
FV: E cosa fai se finisci le immagini?
AB: Vado nel luogo in cui la situazione è accaduta. Vado a vivere la situazione, non con l’immaginario ma nel regno del reale. Oppure cerco un ambiente che sia in qualche modo simile alla situazione che si legge nel testo. Per esempio, se qualcuno parla dell’oceano e nella mia mente non ci sono più immagini dell’oceano, vado fisicamente verso l’oceano e lo guardo. Allora le immagini aumentano e mi diventano più chiare.
FV: Molti dei tuoi lavori sono ispirati dai luoghi e dai viaggi. Quando ti muovevi negli anni Ottanta e Novanta hai usato i quaderni di schizzi per tenere note e disegni. È ancora importante tenere un taccuino per te?
AB: Non uso più un taccuino da un paio di mesi. Penso che ricomincerò a farlo ma, sai, a volte si perdono molto facilmente.
FV: Ho sentito parlare di una perdita dal Canada…
AB: Sì, una volta sono andata dal Canada all’ex Jugoslavia e, poiché c’era uno sciopero all’aeroporto di Belgrado dove sono atterrata, mi hanno fatto prendere un treno da lì ad Atene e in quel viaggio ho perso tutte le mie valigie. È sparito tutto, tutti i miei disegni, tutti i lavori che stavo portando in Canada al Cairo. Non mi hanno rubato i soldi solo perché li avevo addosso.
FV: Viaggi da quando hai vent’anni. Definiresti la tua vita nomade?
AB: Non credo che la mia vita sia così nomade. Ci sono persone che viaggiano più di me. Mi piace spostarmi, ma non mi definisco nomade. A dire il vero, ho vissuto per dieci anni in Canada senza viaggiare, tranne una volta in Cecoslovacchia, una volta in Messico, alcune volte a New York e nel Canada meridionale. In generale, vado nei luoghi solo perché mi ispirano interesse. Mi vengono in mente delle immagini e ci vado. Questo succedeva soprattutto quando ero più giovane. E da quei viaggi di solito non pubblico libri di viaggio, ma creo immagini nella mia mente. Su Atene, sulla Grecia e su tutti gli altri luoghi che posso disegnare. Per esempio, hanno iniziato a interessarmi le barche e ho iniziato a disegnarle. Ho molti dipinti e libri sulle barche. Qualsiasi tipo di barca, tranne quelle da crociera perché sono troppo grandi.
FV: Questi disegni sono nel tuo archivio?
AB: Sì, ma, a fine giornata, risulta molto difficile capire cosa sia un archivio.
FV: Cosa stai preparando per la tua mostra A Clown Jumped into the Arena alla Galleria Franco Noero a Torino?
AB: Sto preparando diverse figure di uccelli e sculture, in bronzo, vetro e tessuto. Tutto è partito da alcune immagini nella mia mente. Alcune mie scritte saranno sulle pareti, e su un tavolo da pranzo dove ho riportato alcuni testi. Le sculture invece saranno appese al muro o al centro della stanza, e sono fatte di tessuto, dipinte a mano su tela.
FV: Che figure rappresentano?
AB: Uno rappresenta Faruq, il vecchio re egiziano, durante la monarchia. Ci sono alcuni personaggi egiziani, ma si tratta soprattutto di clown, delle testimonianze sulla situazione del mondo. Su come le cose vengano affrontate girando a vuoto, o su come non vengano affrontate affatto.
FV: Un complesso sistema sembra tenere queste figure ancorate alla loro realtà storica e politica, impossibilitate a muoversi, limitate e limitanti. In contrasto al resto del regno animale, come quello degli uccelli, che è qui rappresentato libero. Una metafora sulla condizione umana collegata anche alla tua terra natia?
AB: La mostra parla degli uccelli e di come gli uccelli migrino e siano molto ben organizzati. Perché gli uccelli sono ordine, sanno dove stanno andando e non hanno confini. Viaggiano sia nel cielo che nella terra. Mentre gli esseri umani sono più limitati dalle organizzazioni, dalla burocrazia, e da sé stessi. L’essere umano è limitato dalla terra e dalla politica, dall’ordine e dal potere. Nella mostra si vedono sculture di bronzo e una terra alienata: le persone non possono più fare nulla. La situazione del mondo è diventata una bolla fuori dalla capacità umana di controllo. Sulla parete scriverò: “The white, the blue and the red. And when the image moves on, from dark to light… The morality of immorality”. [Il bianco, il blu e il rosso. E quando l’immagine si sposta, dal buio alla luce… La morale dell’immoralità].