Quando ho deciso di fare questa conversazione con Lawrence Osborne, forse tra i più grandi scrittori di viaggi viventi e tra i migliori romanzieri inglesi contemporanei, mi è capitato quello che chiamerò un episodio di amnesia selettiva. Leggendo i libri di Osborne non ho mai collegato il suo nome alla persona che anni fa avevo conosciuto a Roma attraverso un’amica comune, durante una memorabile cena accompagnata da uno specialissimo vino toscano che Osborne, fra le altre cose anche coltissimo wine writer, aveva a sua volta avuto in dono. Ricordavo nitidamente il ristorante, il vino, addirittura i discorsi di quasi vent’anni prima, ma non avevo mai unito i puntini tra la persona e lo scrittore di alcuni capolavori come Bangkok (Bangkok Days) o Il turista nudo (The Naked Tourist), ma anche di romanzi avvincenti e raffinati come Nella polvere (di recente adattato per il grande schermo da John Michael McDonagh ed interpretato da Ralph Fiennes e Jessica Chastain). Il punto è che leggere Lawrence Osborne è come partire per una destinazione esotica, esotica nell’accezione migliore del termine. Tale è il suo senso del luogo, la sua abilità quasi magica nel descrivere i posti, la sua capacità impareggiabile di rendere vivi paesaggi, tramonti, deserti, feste, bar, ristoranti persino ospedali che ogni volta inevitabilmente il fascino magnetico della sua scrittura ti fa dimenticare il resto. E allora l’isola greca, l’hotel di Macao, la villa nel deserto marocchino, l’ospedale thailandese diventano, come dice Christopher Bollen, “rare e feroci meraviglie”. Sarà per questo, mi racconto con vergognosa autoindulgenza, che mi sono scordata della cena alla Trattoria Monti? Rimane il fatto che Osborne è uno dei pochi scrittori contemporanei davvero interessati alla geografia dei luoghi: “Credo che il personaggio abbia origine dal luogo, non il contrario”, ha detto.
VP: Perché a nessuno importa nulla della geografia?
LO: Buona domanda. La gente è fondamentalmente sciocca e conformista. La maggior parte della nostra letteratura da questo punto di vista è inconsistente. Non riesco a capire perché. I romanzi non sono messe in scena con “quinte” di cartone. Perché il mondo non è così.
“Ambiento i miei romanzi sempre nei luoghi in cui ho vissuto”, hai detto. Scriverai mai un romanzo ambientato a Panzano, in Toscana?
Dovrei. Ogni volta che ci vado sono pieno di una nostalgia malinconica al limite del sopportabile. è il primo posto dove sono diventato uno scrittore, dove mi sono messo alla prova con un libro vero, da solo, in mezzo ai boschi. Per questo motivo Panzano è rimasto per me un luogo sacro. Quel posto dove hai 24 anni, da solo a combattere la tua prima battaglia. Beh, da solo con i fantasmi degli Etruschi.
Ha ancora senso oggi parlare di “avventura”? Ci sono ancora posti dove non c’è quella che tu chiami la “monocoltura del turismo”?
Riesco solo a pensare alla Papua Nuova Guinea o ad alcune parti dell’Indonesia. Tuttavia, con il Covid-19 gran parte della monocultura del turismo è fortemente diminuita. La fauna selvatica sta ritornando – e le orde di europei in sovrappeso sono scemate. Quindi c’è speranza. Se solo potesse diventare permanente. In questo momento sono a Phuket ed è… vuota!
Ognuno ha la sua Papua, un posto che ti manca inspiegabilmente, dove non ti sei sentito “all’estero”, ma che ti è rimasto nel cuore. Per me sono le isole San Blas a Panama. C’è un altro posto in questo pianeta che esercita su di te “un’attrazione incontenibile”?
Non sono mai stato alle San Blas, ma conosco il Nicaragua e ho trascorso un po’ di tempo nella Miskito Coast, vicino a Bluefields. C’è un’atmosfera bellissima, malinconia e un po’ da fine del mondo. Altrimenti quello che mi piace fare è guidare nell’Hokkaido, in Giappone. È un posto abbastanza strano per me, non mi stanca mai. Poi sono attratto dalle magnifiche nevicate nel nord del Giappone, che mi ricordano in qualche modo irrealistico la mia infanzia in Inghilterra.
In passato l’ultima frontiera per molti scrittori è stato l’oceano, il “Cuore di tenebra” del viaggio. Ti ha mai attratto la navigazione?
Non posso vivere lontano dall’oceano; ma non riesco più a fare immersioni o scuba diving nell’oceano. Non c’è nulla di più terrificante dell’oceano. Eppure senza di esso uno si sente una nullità.
Una volta hai descritto i grattacieli di Hong Kong come “il profilo cristallino del capitalismo che ci riempie di consolazione e terrore”. Vivere in Oriente è un modo di allontanarsi dalla cultura occidentale?
Di allontanarsene, sì, ma allo stesso tempo di starci dentro. Oggi le grandi città capitaliste rappresentano tutte a varie declinazioni la stessa cultura. È solo che in Asia queste città hanno assunto una nuova forma, più aggressiva. Sono la vera frontiera del sistema mondiale.
Sei piuttosto affascinato dal modo in cui gli orientali vivono il sesso, il transgenderismo e il sex work. Mentre in Europa la prostituzione è perfino da alcune femministe considerato un crimine di abolire, in Oriente sono fenomeni più accettati, che ne pensi?
Non ho molto da dire, onestamente. Gli occidentali parlano sempre di sesso, eppure non lo fanno mai. Forse nemmeno gli asiatici, non so dirlo. Ovviamente, gli orientali non hanno un frame monoteista e penso che alla fine questa sia la differenza. Essere liberal, di sinistra, progressisti sono tutte forme della cristianità, come ha fatto notare Nietzsche tanto tempo fa. Lo saranno sempre. E così questi temi saranno sempre oggetto di interminabili tumulti nonché inutilmente strazianti. Fa un po’ ridere affermare che le cose sono “meglio” da qualche altra parte.
Possono essere forse meno fastidiose. I costumi sessuali occidentali sono certamente molto fastidiosi di questi tempi. Possiamo essere rassicurati, tuttavia, dalla semplice consapevolezza che al resto del mondo non potrebbe fregare di meno di noi.
È giusto dire che vivi in Thailandia anche per il modo sereno e giocoso in cui l’erotismo è vissuto dalla cultura locale e perché il buddismo è una dottrina che in qualche modo “bandisce il dramma dell’amore”?
Beh, in una certa maniera sì, ma la ragione principale rimane che qui mi posso permettere uno splendido appartamento.
Come hai trascorso il lockdown?
Ero a Bangkok e in giro par varie spiagge della Thailandia, quindi è stato monotono, ma non così stressante. In realtà vivo comunque una vita abbastanza monastica, quindi è stato piuttosto simile alla mia vita normale! La pandemia ha creato un tipo di solitudine e tranquillità molto nuove e devo confessare che finora ne ho perversamente goduto. L’anno prossimo peggioreranno le cose [ride].
Nel suo libro Vagabondi Olga Tokarczuk scrive: “Ogni volta che parto scompaio dalle mappe”. è una cosa che hai provato anche tu?
Il problema è che la mappa non lascerà mai te. Né Internet ti permetterà di farlo. Impossibile scomparire, a meno che diventi un criminale o un latitante. Certo, è un’idea attraente.
Ne Il turista nudo hai scritto: “Il turismo è un modo di fingere che la morte non prevarrà”, che cosa intendi?
Ho scritto un libro intero per spiegarlo. Le vacanze servono a posticipare il nostro senso del destino… in viaggio c’è sempre qualcosa che non vedi l’ora che succeda, qualcosa che non è la morte. È un concetto divertente e funziona.
A mio parere come romanziere sei impareggiabile nell’inventare personaggi odiosi, disgustosi. Ad esempio la coppia di Nella polvere è davvero insopportabile, chissà come saranno sul grande schermo. Da chi hai imparato?
Ehi, Valentina sono inglese, ricordi? è sufficiente guardarsi attorno. E sarai contenta di sapere che nella versione cinematografica The Forgiven… risulta ancora più misantropo.
Hai inserito magistralmente il tema della crisi dei migranti in alcuni tuoi romanzi. In questo senso i tuoi thriller sono romanzi politici o forse morali. Che cosa pensi dell’immigrazione e dell’accoglienza di noi occidentali?
Si tratta di una domanda molto importante a cui è difficile rispondere in poche righe. Io vivo in Asia, dove gli immigrati non vengono proprio accolti, mai, quindi ho una prospettiva diversa su tutta la questione. Tuttavia mi chiedo: che cosa è sostenibile e cosa non lo è? Nessuno pensa mai ai problemi fino in fondo. I politici e i giornalisti non hanno e non riescono nemmeno a immaginare quali siano le conseguenze a lungo termine, in un modo o nell’altro. Non può diventare una questione sentimentale, né fascista. È una questione che richiede una mente fredda e un cuore un po’ meno freddo.