Testo di Lisa Rovner
Immagini dalla collezione The Margaret Fay Shaw Film Collection, Canna House, NTS
L’etnomusicologa e fotografa americana Margaret Fay Shaw (1903-2004) e suo marito John Lorne Campbell (1906–1996), storico scozzese studioso di folclore, vissero sull’isola di Canna nelle Ebridi e dedicarono le loro vite a documentare i canti, la storia, l’immaginario collettivo e il folclore delle isole, compresa la follatura o luadh in gaelico. Per secoli nelle Isole Ebridi le donne hanno “follato” o lavorato i loro indumenti di lana accompagnando il lavoro con il canto. La follatura era un procedimento faticoso grazie al quale le donne infeltrivano il tessuto di lana bagnato appena realizzato sbattendolo contro un tavolo o un’asse per farlo restringere. Picchiando, spingendo e tirando, il tessuto si irrobustiva e la lana si ammorbidiva. La tavola usata per la follatura, in gaelico cliath-luadh, spesso era una porta prelevata da una casa, era una sorta di grande tamburo collettivo sul quale tutte le donne suonavano. Nel suo libro in tre volumi Hebridean Folk Songs, John Lorne Campbell riporta la descrizione della follatura di Ada Goodrich-Freer:
Siedono cinque per lato e il panno sgocciolante è passato di mano in mano, mentre l’acqua scorre lungo le assi inclinate fino a terra. I movimenti delle donne, dapprima lenti, sono ritmici e, come tutti i movimenti coordinati in queste isole, sono orientati a deiseil, verso il sole. Soltanto nella prima parte di questa operazione riusciamo a osservarla nei dettagli, perché subito la lavorazione diventa così veloce che non distinguiamo nient’altro che l’ondeggiare dei corpi delle donne e il rapido rumore sordo del panno che tiene il ritmo del loro canto.
Margaret Fay Shaw arrivò a South Uist nel 1929 a 26 anni con il dizionario di gaelico Tour of the Hebrides di Martin Martin, una piccola arpa, un diapason, alcuni spartiti e un fervido interesse per i canti e le tradizioni gaeliche. Trascorse i sei anni successivi vivendo con le sorelle Peigi (1874 -1969) e Màiri MacRae (1883-1972) in una fattoria. Così racconta:
Ambivo ad apprendere il gaelico e a mettere per iscritto i canti mai pubblicati. Dal momento stesso in cui arrivai, iniziai a imparare. Prima a fare a meno (di ciò a cui ero abituata). Gli impianti idraulici furono la cosa più difficile. Non ero brava a tagliare lo stoppino delle lampade a olio. Non c’erano frutta né verdura, che io pensavo fossero indispensabili. I miei vestiti non andavano bene e le mie scarpe erano sempre fradicie. Andare da qualche parte voleva dire camminare, e di solito il tragitto era lungo. Non avevo mai sperimentato prima un vento così forte. Imbiancava i vetri delle finestre con il sale dell’Atlantico che si trovava a quattro miglia di distanza. Spostava sul pavimento le zolle di torba che bruciavano nel caminetto. In un primo tempo, il rumore delle folate di vento mi rese nervosa come un gatto, poi mi abituai. Non avevo mai visto prima donne e uomini svolgere un lavoro fisico così gravoso e di sicuro non avevo mai vissuto con persone che avevano così pochi beni materiali. Ho conosciuto solo amabilità, fin dal primo giorno. Peigi e Màiri MacRae […] mi insegnarono più che all’università: erano donne quanto mai interessanti e ben informate.
Margaret Fay Shaw trascorse i suoi giorni a mettere insieme un numero incredibile di canti, scattando fotografie e filmando tutto ciò che avveniva attorno a lei. Fiona J. Mackenzie, cantante e archivista gaelica che sta scrivendo la biografia di Shaw, spiega: Fu la prima persona a possedere un’istruzione musicale tale da poter mettere per iscritto canti mai trascritti su spartito. Visse e lavorò con le persone di cui documentò l’esistenza. Mungeva le mucche, dava da mangiare alle galline, raccoglieva alghe. Fece di tutto perché capì che i canti nascevano da quella fatica e volle comprendere davvero che cosa avesse spinto quelle persone a comporre quei canti. Le sue fotografie ci offrono un arazzo, se così vogliamo chiamarlo, di uno stile di vita che non esiste più. Fu grazie alla fotografia che conobbe suo marito John Lorne Campbell, che all’epoca stava scrivendo un libro ed era alla ricerca di fotografie che lo illustrassero.
Nel 1938, la coppia acquistò l’Isola di Canna. Shaw la descrive così: È più piccola delle isole nei dintorni. Quando sei in mare, in navigazione verso di essa, ti accorgi di quanto sia verde. A nord e a sud vi sono alte scogliere, ricoperte fino alle estreme propaggini di folti prati erbosi. Spesso mi chiedono se la nostra non sia una vita solitaria. Non lo è. Le persone che lavorano con gli animali non si sentono mai sole. Ricordo che in una splendida giornata estiva arrivarono alcuni visitatori a bordo di un’imbarcazione. “Siete lontani dal mondo, qui” disse il proprietario. “Sono al centro del mio mondo”, fu la mia risposta.
Mackenzie, il quale gestisce Canna House for the National Trust for Scotland specifica: Fu qui, a Canna House, che Margaret e John iniziarono a incrementare le loro raccolte e a lavorarci su, registrando e ri-registrando a mano a mano che la tecnologia faceva passi avanti, passando dai cilindri di cera ai magnetofoni a filo e poi ai registratori e così via. Il loro lavoro è incomparabile. Non esiste nessuna collezione al mondo paragonabile alla loro.
Per le otto-dieci donne che vi prendevano parte, la follatura era un’attività faticosa, ma grazie al canto era anche una gradevole occasione. In una registrazione del 1967, Mary Murray Lewis di Uig spiega: Inventavamo noi le nostre canzoni. Un gruppo iniziava prendendo in giro un ragazzo… Si lavorava così e ci si canzonava a vicenda per uomini diversi. Si poteva trattare di un uomo anziano, ed era terribilmente divertente farlo. Ridevamo di cuore.
Mackenzie mi ha detto: Quello era il loro modo di documentare il loro stile di vita. Di certo, prima della Seconda guerra mondiale sarebbe stato assai raro che le loro tradizioni, le loro storie, le loro vicende familiari fossero messe per iscritto. Si tramandavano oralmente. Naturalmente, la follatura era perlopiù un’attività economica, perché il tweed così realizzato costituiva una componente importante dell’economia della comunità locale. Le donne erano pagate per passare da un villaggio all’altro ed eseguire la follatura. Si portavano appresso storie e notizie di tutti i villaggi e di tutte le piccole città che avevano visitato. E, ovviamente, con quelle si trasmettevano anche i canti stessi, la loro evoluzione, e si tramandavano alle nuove generazioni di cantanti e di lavoratrici della follatura. Farei bene a segnalare che perlopiù le donne che cantavano i canti della follatura non erano cantanti eccezionali, dal punto di vista della purezza della voce. Erano alquanto grezze. Ma è proprio questo a rendere così belle le waulking song. Sì, si tratta di una cultura folcloristica semplice. Ma dal punto di vista musicale, i canti erano molto elaborati, avevano tonalità e ritmi inconsueti e ciascuno di essi aveva qualcosa di singolare. Ci si potrebbe chiedere di cosa parlassero: un canto poteva riguardare una mela, per esempio, ma non è di una mela che cantavano. E quindi di cosa si trattava?
I panni di lana follata sparirono alla metà del XX secolo, ma i canti, grazie alle registrazioni di Shaw e Campbell ed altri sono ben preservati e si possono ascoltare sulla risorsa online Tobar an Dualchais. Grazie alle cantanti gaeliche e agli insegnanti, i canti della follatura, che Campbell descrive come improvvisati in condizioni di semi-trance… non devono essere paragonati a produzioni letterarie bensì a sogni, cantati ancora oggi.