Sono passati millenni da quando gli antichi Greci si godevano la dieta mediterranea alle isole Cicladi, vivendo di pastorizia brada, vino, pane e raccolta spontanea dei frutti della terra. Ora, nelle isole di Tinos e Andros, dopo oltre duemila anni la situazione sembra esattamente la stessa: niente artifizi né sofisticazioni nel cibo, solo alimenti naturali come mamma cinica insegna.
Un mezz’uomo e mezzo caprone, di nome Pan, si avvicina al pastore e gli porge del carciofo selvatico, da mangiare crudo con pane e l’olio d’oliva che ha sempre abbondato sull’isola di Tinos. Dall’altra parte Dioniso e le sue Menadi gli offrono il raki, il distillato di vinacce antico come il tempo delle vigne. Tutt’intorno infine fanno baccano le Driadi, fanciulle divine che presidiano i boschi vicini alle acque dell’Egeo e regalano capperi sott’olio, finocchi di mare, pomodori essiccati al sole, fette goduriose di louza, il prosciutto della Grecia. Sembra una favola agreste che piace tanto agli eruditi classici, nostalgici dei tempi in cui i fauni e le ancelle ballavano e mangiavano tra le ninfee, ma è qualcosa che ancora può essere vissuto in alcune isole delle Cicladi. Ecco, sull’isola di Tinos o su quella di Andros un viaggiatore può immedesimarsi in questo pastore viziato dagli dèi dei boschi dell’antica Ellade, tra il rilassato, il metafisico e il gaudente gourmet che ama la semplicità della cucina. Veramente.
Le Cicladi e i loro abitanti sembrano aver percorso una vita a parte, a tavola: mentre il mondo ha scoperto il cibo in scatola o precotto, la dottrina dell’allevamento intensivo e lo stress da fastfood, l’inquinamento alimentare da antibiotici e la geolocalizzazione satellitare per raggiungere in tempo un ristorante blasonato, nei millenni questo arcipelago, bello come la natura selvaggia, ha continuato a vivere autonomamente e naturalmente, allevando capre e maiali, coltivando vigne e foraggiando foglie di “dente di leone” selvatico o capperi da aggiungere alle gustose insalate greche. Solo l’America, intorno al XVII secolo, ha “consigliato” loro un altro ingrediente, il pomodoro, che gli abitanti hanno cominciato a essiccare al forte sole e usare anche d’inverno. A Tinos ora si va al porto per comprare il formaggio locale a forma sferica oppure nella zona di Pallada per acquistare frutta e verdura al mercato degli agricoltori locali. E si beve pure una birra artigianale davvero interessante, la Nissos Artisanal Beer, che vince premi all’estero con il suo sapore tutto greco. L’atmosfera marinara/agreste, quel binomio tanto distante agli occhi del cittadino cosmopolita, ma così perfetto per la cultura greca arcaica, si propaga ancora negli abitanti da tanti, tantissimi anni, e sembra che la situazione non voglia cambiare.
Sono così lontani quegli antenati, gli antichi abitanti dell’isola di Lemno, che prediligevano grattugiare la terra su alcune loro pietanze, come un bizzarro “parmigiano roccioso”? Sono ancora vivi i ricordi dei sacrifici dell’antica Grecia, sulle spiagge del Mediterraneo più di duemila anni fa, così incantevoli e mistici nel fuoco della notte, in cui si uccidevano gli ovini per avere buoni auspici, in guerra come in pace, e poi si dividevano le carni, il corpo della bestia agli uomini e le interiora agli dèi? Oppure quando le conchiglie dell’Egeo venivano polverizzate per realizzare potenti afrodisiaci che ravvivassero gli ardori dell’uomo? Tutto questo oro colante di cultura gastronomica panellenica ha forse dato le basi alla moderna cucina greca di Tinos e Andros? Sì, senza dubbio, ma forse dobbiamo andare ancora più indietro, o meglio più a fondo, scavando nel passato divertente di Diogene di Sinope, il filosofo cinico che la leggenda narra vivesse in una spartana botte (che poi era un’anfora!). Per questo buffo filosofo paffutello la chiave di volta del suo edificio teorico era l’affermazione della superiorità assoluta dell’ordine naturale su qualsiasi altro elemento: niente Nutella sul pane di farina bianca raffinata dunque, nessuna Simmenthal inscatolata da robot, giammai un pomodoro cresciuto a diserbanti. Diogene e compagni bevevano l’acqua delle sorgenti e si cibavano di ghiande raccolte da terra o delle piante che mietevano controvoglia: il principio primo della dietetica cinica è il crudo, e allora sovviene la raccolta spontanea di carciofi selvatici a Tinos oppure del finocchio selvatico che dona grande sapore aromatico ai piatti. Come allora, nelle Cicladi si preferisce un’insalata di capperi selvaggi con aglio, olio e aceto a una grassa hamburguesa con queso y mayo delle grandi città europee e americane. All’aperitivo non esistono tapas o stuzzicini al sapore di pseudo-pizza, ma olive dal gusto millenario. Il commediografo ateniese Aristofane, come narra Ateneo, diceva che le olive dovrebbero essere mangiate “sode come corpi di vergini”. È per questo che l’aperitivo ha avuto il suo fascino fin dall’età classica?
Va bene la carne e il pesce del Mediterraneo alla brace, sardine e pesce azzurro a gogò, ma cucinare con il fuoco presuppone la metafora della civiltà che avanza, in contrasto al crudo, al selvatico e all’allevamento brado. Ad Andros e a Tinos si possono vedere ancora asini che arano i campi: il trattore è riservato solo ai reality show sul contadino moderno e 2.0.
La letteratura aneddotica su Diogene lo mostra più ghiotto di olive e di bacche selvatiche piuttosto che di carnazza mefistofelica: per lui la natura è già protesa “naturalmente” a fornire prodotti in quantità sufficiente da raccoglierli. E chi si accontenta gode.
Sull’isola di Tinos il signor Stratos è il proprietario di due case in pietra antiche e molto speciali, così essenziali e sobrie che è solito affittare come summer house ai turisti più bucolici che gli scrivono per primi una email. Nonostante il tecnologico computer per ricevere le prenotazioni Stratos ricorda la semplicità di Diogene, per esempio nel momento in cui esaltava il suo maestro Antistene: “le coppe da cui berremo sono quelle che, fatte di sottile argilla, costano meno. Come bevanda prendiamo acqua di fonte, per cibo pane e lenticchie, per condimento sale o crescione selvatico, essendo essi cibi semplici da trovare e che danno serio godimento intellettuale”. Beata semplicità greca, antica e contemporanea, legata a filo diretto con la natura e i suoi prodotti vegetali. Beata alimentazione mediterranea che è longeva e dà longevità.
Ora pane, sale e acqua sorgiva di cinica memoria sembrano solo antichi versi di vetusta poesia, perché a Tinos oggigiorno si possono mangiare anche le erotiche frittelle dolci loukoumades, al Kyriakatiko Café o in un altro degli innumerevoli bar sul lungo-porto. È dunque arrivata la modernità anche alle Cicladi, con il fervore e la continua curiosità verso il nuovo e il diverso, ma in maniera più soffice, più ammorbidita dal peso storico del rilassamento pastorale. La dieta mediterranea è dura a morire, ma è morbida nel vivere.