Nella sua prima mostra al Café Gnosa di Amburgo (1988) Wolfgang Tillmans espone Approaches, immagini realizzate con una fotocopiatrice laser Canon che utilizza come una macchina fotografica per ingrandire immagini xerografiche fino al quattrocento per cento. Le immagini che ne derivano, sgranate al limite della materia, astratte, tecniche, meccaniche, come la musica elettronica che l’artista tedesco pratica a quell’epoca, esplorano possibilità della riproduzione, mentre dichiarano la fascinazione contemporanea, vagamente melanconica, per la tecnica. Tillmans è affascinato dal processo potenzialmente infinito della riproducibilità tecnica della fotografia e delle conseguenti possibilità di intervenire sull’immagine, apportando, accogliendo, accettando, cercando, e creando modifiche, trasformazioni, ridefinizioni e nuovi significati, derivati oltre che dalla tecnica di riproduzione, dalla piattaforma su cui viene presentata l’immagine, ovvero dal contesto.
Qualche anno dopo, nel 1993 nella prima esposizione in galleria da Daniel Buchholz a Colonia, Wolfgang Tillmans espone, insieme, handprinted chromogenic prints, pagine di riviste, fotocopie laser, enormi ritratti stampati su tessuti appesi direttamente alle pareti, attribuendo pari dignità a ognuna di queste immagini. È una mostra manifesto di un’epoca all’insegna della democrazia dell’immagine, sia per ciò che riguarda i contenuti, il linguaggio e l’installazione. È una mostra che dichiara un’estetica antagonista che disintegra il concetto di opera unica, originale, insostituibile. Siamo all’inizio dei Novanta, e la posizione di Tillmans è in perfetta sintonia con la visione di altri artisti internazionali che mettono in discussione il concetto stesso di autorialità proponendo invece opere e processi inclusivi, condivisisi e partecipativi: da Félix González-Torres a Gabriel Orozco, Tobias Rehberger, Elmgreen & Dragset, Dominique Gonzales-Foerster.
Se Walter Benjamin, de L’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica si interroga, nel 1936, sul tema dell’‘originalità’ dell’opera d’arte, e osserva come la riproducibilità tecnica dell’opera (fotografia) sia la causa della perdita di quell’‘aura’ che rende un’opera unica e insostituibile, tema peraltro già ampiamente indagato, in maniera differente, da Marcel Duchamp dei ready made d’inizio Novecento, Tillmans è invece folgorato proprio dalla riproducibilità. Quella riproducibilità dell’opera che consente di innescare un processo straordinario di trasformazione, ri-definizione, ri-significazione, e, non ultimo di relazione, il che non esclude che l’immagine non sia specifica, personale (persino intima in alcuni suoi iconici ritratti e nature morte).
Tillmans è interessato da quel processo che, a partire dall’immagine, riprodotta in diverse contesti come riviste, libri, cartoline, gallerie e musei, nightclub e video musicali, copertine di dischi, manifesti, spazi architettonici e palchi teatrali, attiva nuove dinamiche di relazione non gerarchiche, decentrate, aperte alle differenze.
“Può l’immagine mediata, riprodotta, avere un impatto più potente rispetto all’esperienza diretta dell’opera? Può essere ugualmente significativa anche se diversa?” Si chiede Roxana Marcoci nell’introduzione a Wolfgang Tillmans: To look without fear la grande mostra del 2022 al MoMA di New York in occasione della quale è stato pubblicato il più approfondito testo su Tillmans a oggi.
Ogni immagine di Tillmans va considerata in quanto singola e specifica (e non unica), capace di ridefinirsi in maniera diversa in ogni singolo e specifico contesto: magazine, museo, nightclub… Così, all’inizio dei Novanta, le immagini di Tillmans appaiono contemporaneamente in servizi fotografici su i-D, in gallerie d’arte, alla Kunsthalle di Zurigo, nel primo catalogo Taschen, ne L’Hiver de l’Amour al Museè al d’Art Moderne de la Ville de Paris creando potenti cortocircuiti fra linguaggi, sequenze, esposizioni, realizzando mostre ispirate ai layout di un magazine o, viceversa, portando sulla carta stampata il linguaggio dell’arte contemporanea.
Si inizia con Techno is the sound of Europe uno dei primi servizi fotografici di Tillmans per i-D del settembre 1992. Il servizio per i-D distilla attraverso immagini di techno club il fermento poetico, politico, culturale dell’Europa subito dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, all’epoca della riunificazione della Germania, e dello sgretolamento dell’Unione Sovietica. È un’Europa che esprime la sua carica antagonista nelle sale illuminate da luci acide e psichedeliche di club e concerti, nei corpi, nella musica e nella danza dove la libertà del movimento del corpo è associata alla liberazione da stereotipi e tabù. È un’Europa che promette pace, condivisione, inclusione, empatia, rispetto dei diritti sociali e civili, riconoscimento delle differenze di genere, razza, sessualità, a iniziare da quella LGBTQ+.
Il viaggio inizia qui, agli albori della globalizzazione, di fronte a grandi speranze e visioni, e attraversa i Novanta in cui Tillmans fotografa Soundshaft club a Londra, acid-house nights all’Opera House di Amburgo, la Love Parade dell’electronic dance music festival a Berlino, le cui immagini sono esposte al Panorama Bar del Berghain, il techno night club dell’underground berlinese. Sono gli anni della prima Biennale di Berlino, della nascita del Kunstwerke, nell’ex fabbrica di margarina occupata a Augustestrasse.
“Non volevo pubblicare quelle immagini solo perché appartenevano alla mia scena sociale” ha detto Tillmans in un’intervista del 2011 per Interview. “Pensavo che stesse davvero accadendo qualcosa di nuovo. C’era un nuovo linguaggio musicale e una socializzazione anti-gerarchica che sembrava veramente nuova. Quanto tutto ciò abbia poi davvero cambiato il mondo questa è un’altra storia. Ma questa coincidenza fra la caduta del muro di Berlino, l’Europa che si stava formando e la cultura della vita notturna, della techno e dell’ecstasy sembrava configurarsi in un potente movimento pan-europeo”.
Il resto è la nostra storia recente, (personale e collettiva), distillata in ritratti, nature morte, paesaggi, composizioni astratte, fotografie di corpi celesti, in icone come Smoking Jo (1995), in dettagli come Concrete Column (2021), in frammenti cosmici come Venus Transit (2004), in sguardi intimi come Still Life, New York (2001). Distillata in ogni immagine di Wolfgang Tillmans perchè come ha scritto l’artista stesso “If one thing matters, everything matters”.