Cala Gadir

Testo di Gianluigi Ricuperati
Fotografie di Luca De Santis

L’arco naturale dei colori e dei timbri della vegetazione rendono questo giardino una miniatura di tutto ciò che un Vulcano può fare per estendersi fino al cielo senza esplodere: per malinconia e tenerezza i vulcani ormai spenti sostituiscono i pinnacoli di fumo con i gambi di fiori scultorei, con le grazie della palma, con la forza strozzata verde delle piante grasse, con certe rosette pallide che non sembrano temere la potenza del sole. Tutto risuona dolce e composto, ma in realtà è un grido soffocato e bellissimo, che conduce ogni atomo della terra verso la conca delle stelle. 

Ai primi di luglio del 2017 ho passato alcuni giorni di pura fortuna nella splendida Cala Gadir, la proprietà di Giorgio Armani a Pantelleria. Ripensando a quelle ore immobili e distratte dal vento, alla bellezza estrema del luogo e della casa, del fuori e dell’interno, ho sentito che le mie parole non bastavano, così le ho intrecciate con quelle di uno dei miei eroi letterari, lo scrittore americano Harold Brodkey, un maestro di prosa e di rappresentazione poetica e verbale di cosa significa “essere vivi”, essere nel mondo: così ho mescolato una scrittura all’altra, montando insieme come in un collage di omaggi e sensazioni il testo che solo così è completo. Perché mentre ero a Cala Gadir stavo leggendo The Runaway Soul, il suo capolavoro di una vita intera: erano vent’anni che non lo riprendevo in mano, da quando lo leggevo ad alta voce in cameretta per imparare meglio l’inglese, a diciannove anni, mentre mia madre origliava e forse s’inorgogliva da dietro la porta. Oggi sono vent’anni che mia madre non c’è più. Viaggio in continuazione, e ogni posto che vedo porto con me l’impronta genetica dei suoi sguardi. È lei che ha fatto il mio sguardo. I figli portano l’ombra del disegno delle madri, per poi forse trasmetterlo ancora ai loro figli. In tondo sono le mie parti, in corsivo quelle di Brodkey. 

Cala Gadir: un luogo nel quale la risposta a qualsiasi domanda è “paradiso”.

E la freschezza dell’aria, il quasi-silenzio, il cambiamento della vita, i grandi segugi interiori abbaiano umorali. Ogni genere di io interiore si aggrappa alla quiete.

Cala Gadir: alzatevi tutti, perché il Mediterraneo è qui una pausa improvvisa, un danzatore che si è appena espresso in una complicata serie di passi, come a dire: ho speso la vita a sfidare il vento: ho speso una vita a inseguire il vento dei dettagli.

Poi, all’improvviso, tutto è solo luce e ombra; non ho l’ultima parola di vita e di morte su di me, sui miei io, tempo e mente, tempo e carne, qualunque cosa io sia.

Cala Gadir: il sole cala, dopo aver raggiunto il Nadir: ma non lo si vede, da qui: è una collezione di albe, non di tramonti. L’alba richiede sforzo e disciplina, oppure un’estrema passione per la notte. Come il fotografo lanciato alla disperata ricerca della luce che ha visto ma che non ha ancora incontrato, questa casa richiede tanto, e restituisce il doppio. 

Vicino al fiume una parte del terreno diventava piatta, e le terre arate e piantate erano di colore nerastro, un marrone intenso, e quello che svettava era davvero verde, o un verde-giallo forte, piantato così geometricamente che sembrava una specie di notazione, un’idea sillabata gambo per gambo, fila per fila: il che pizzicava gli occhi e la mente.

Pensare è un frutto fantasma, ombre e stranezze in un orto elettrico, fioriture di miracolo in miracolo, una realtà fatiscente, e poi dipinti d’ombra, pseudofoto in B/N, e ancora una sensazione di cagionevolezza, una sinopia riemersa, la vernice si è scrostata.

Cala Gadir: una madre, una sorella, un’amica di pietra nera e case fresche. La sostanza femminile si lascia affiancare dai mobili che sembrano muoversi al rallentatore, come in una moviola dell’arredamento, nella quale ogni fatica diventa una lentissima carezza materna: le tende che separano il patio dall’aperto, i divani eleganti e accoglienti, l’aria coloniale che segna l’atmosfera grazie a certi legni e certi bianchi opachi: tutto avvolge come una conversazione notturna di un bambino con le donne della sua famiglia, un racconto di paure speranze fantasie simmetrie aspirazioni scherzi giochi. E silenzi. Perché Cala Gadir è un teatro di silenzio in dono, così simile alla comprensione di un amore che ti lascia entrare.

La luce, le nuvole e le ombre sull’acqua, gli uccelli sopra la testa, i loro versi e i riflessi rasenti alla superficie, il ragazzo, le canne, la spiaggia, la verità, l’errore – tutto ciò esiste qua, nel battito plurialare e nel mormorio del momento.

Cala Gadir è sopratutto Pantelleria, perché non esisterebbe Cala Gadir senza Pantelleria: un nome che racchiude in quel “panta” l’intero catalogo di ogni cosa vivente. Sembra che a Pantelleria, come accade con le isole principesche, la Natura abbia chiamato a raccolta tutti i suoi travestimenti, o quasi: il caldo secco, l’ombra vegetale, il deserto nero, la lussuosa vita dei fiori, quella produttiva delle vigne che raggiungono l’orlo del mare e restituiscono all’uomo la cupa allegria del Passito. Pantelleria è un forno naturale nel cuore dell’Inverno. Pantelleria è un porto semplice nel cuore dell’Europa. Pantelleria è un progetto di atterraggio per aerei militari e altre diavolerie. Pantelleria è un coro di capperi e alberi. Pantelleria è la frase: Cala Gadir è una parola. Pantelleria è salda: Cala Gadir vola.

Vola verso un non-luogo. Si muove senza muoversi nella non-esistenza di momenti reali dove mi trovo io, immobile, come la puntina di un grammofono, e noto le deviazioni che diventano lo svolgersi della discussione sulla luce-pensiero nella mia mente. Diventa memoria – utilità – bandiera, un pensiero nuvoloso. 

Ecco. La sola cosa che non posso accettare, qui, nella perfezione del Mediterraneo, è l’idea di un pensiero nuvoloso. Non piove nella fantasia di Pantelleria. Non piove nella fantasia di Cala Gadir. 

Ci sono ombre, com’è ovvio: ma sono dure, potenti, affilate, diamanti non più grezzi di luce estiva. Niente è grigio. Questo Paradiso è un’onda di colori caldi ospitati dal re elegantissimo del bianco e nero. Cala Gadir è una partita a scacchi tra l’allegria del cosmo e la sua bellissima brutalità.