Al centro del Mediterraneo c’è un’ Isola, al centro dell’Isola c’è un lago e al centro del lago c’è un’isoletta con una grande casa padronale a due piani con tanto di giardino tropicale e laghetto annesso. L’isoletta qualche volta compare e qualche volta svanisce. Si può vedere, se si è fortunati, attraversando il vecchio ponte che sovrasta la diga del fiume Tirso, nel Campidano.
Un tempo il lago Omodeo è stato il lago artificiale più grande d’Europa. Noi lo studiavamo a scuola e ne eravamo molto fieri ma, a me il fatto che laggiù, là sotto, annegati, siano rimasti i resti di Zuri, l’intero paese abbandonato a forza per fare posto alle acque ingombranti, mi inquieta. Un paesino di 88 case tutte scomposte e ricostuite in alto in alto dove le acque egoiste e prepotenti del nuovo, moderno e arrogante lago non sarebbero mai potute arrivare.
E la chiesa antica antica che stava lì nel bacino del Tirso insieme a nuraghi, a foreste pietrificate e a resti di fossili, è stata smontata pietra per pietra e ricostruita lassù ancora più in alto all’ingresso del paesino ricomposto. All’ingresso, come a guardianìa, a monìto: tu qui acqua non arriverai mai!
E ci penso ancora a cosa possa essere rimasto sotto sotto, in fondo a quell’acqua grigio piombo profonda e melmosa, così poco “acqua di Sardegna”. Qualcosa abbandonato, dimenticato o semplicemente lasciato perché poco importante, così poco di valore da essere salvato.
Sono sicuro che una minuscola Atlantide è risorta dai resti abbandonati a malincuore dagli abitanti del piccolo paese di Zuri. Paesino costretto a rivivere uguale a prima ma solo più in alto e quindi comunque diverso.
E la piccola Zuri-Atlantite sommersa ora è un paese sommerso dove si nuota invece di camminare, dove si sorride invece di parlare, dove ci si abbraccia invece di litigare.
Antonio Marras
La Sardegna è casa mia, è la mia famiglia, la mia amica, la mia maestra. Solo io ne posso parlare male e solo io posso decidere cosa va e cosa no. Ne sono fiera alquanto e mi dispiaccio tantissimo quando si comporta male. La conosco come si conosce un figlio adolescente, si sa tutto ma altrettanto si ignorano molti aspetti.
La Sardegna vive diverse vite parallele, impossibile immaginarle tutte. Io sono contenta di esserci nata, in Sardegna, soprattutto perché sono costretta a viaggiare molto e sono spesso lontano. E quando sono via non mi manca per niente.
Mi mancano i miei cani, mi manca il mare, mi manca il sole, mi manca il profumo di elicriso, ma proprio quella nostalgia, quella saudade della mia terra che attanaglia tanto i miei conterranei, a me, proprio non prende. Quando ritorno dopo una lunga assenza la vedo piccola piccola e persino un po’ ingrata, rinunciataria, poco ambiziosa e senza prospettive come adagiata sugli allori di un passato ormai appannato.
E un passato imponente e immenso l’abbiamo veramente avuto. Nell’età del Ferro i sardi erano tanto ricchi e potenti da poter realizzare le statue più maestose mai viste in ogni altra parte del mondo conosciuto di allora. I Giganti di Mont’e Prama: le uniche sculture nuragiche in pietra mai ritrovate nel Meditteraneo. Guerrieri, sacerdoti, pugilatori, arcieri imponenti e possenti per 2800 anni hanno dormito indisturbati sotto terra tra il Sinis e il Marghine e solo da pochi anni sono stai riportati al loro antico splendore. E, sicuro, vale la pena fare un viaggio in Sardegna solo per passare a Cagliari e a Cabras per poterli conoscere.
Ma non vorrei sembrare troppo nostalgica…
Non voglio raccontare di antichi fasti, dei 7000 nuraghi sparsi per tutto il territorio e nei quali ti imbatti anche senza volerlo, né dei dolmen, dei menhir, né di Tombe dei Giganti, né delle Domus de Jana, quelle strane buche nelle rocce che si dice siano le case delle fate, ma raccontare di un semplice viaggio domestico da una parte della Sardegna ad un’altra.
Tragitto Alghero, nord-ovest, dove tramonta l’ultimo sole del Mediterraneo italiano, avamposto di Sardegna di fronte alla Spagna e Santa Teresa di Gallura, a nord del nord, punta estrema di Sardegna terraferma in faccia alla Corsica separata solo dalle mitiche Bocche di Bonifacio. Per anni ho fatto questo tragitto/viaggio in macchina con i miei genitori a ogni festa,vacanza o giorno libero con il caldo torrido o con il vento e la grandine per andare a trovare i miei nonni a nord. Ogni occasione era buona per ritornare “a casa”. Mamma e papà sono tutti e due di Santa Teresa di Gallura e appena sposati si sono trasferiti ad Alghero e l’hanno vissuto sempre come una diaspora. Lingua diversa, gente straniera.
Alghero e Santa Teresa distano solo 140 chilometri e due ore di macchina, ma sono lontane e diverse come il polo e l’equatore. Alghero, città fortificata che affonda i bastioni nelle acque del Mediterraneo, è un’ isola nell’isola. Perla della Riviera del Corallo, è una comunità di catalani che, secoli fa, ha messo qui radici e dove, da sempre, si incrociano popoli e culture. E Santa Teresa di Gallura, antico porto dal fiordo naturale, è cittadina giovane, voluta e disegnata da Vittorio Emanuele I di Savoia che la intitolò alla moglie Maria Teresa, si snoda sulla costa tortuosa più bella del mondo. La Valle della Luna, a Capo Testa, è un luogo magico che ti riempie il cuore. Gli immensi graniti bianchi la rendono luminosa e surreale come un villaggio lunare ma con tanto, tanto sole. La campagna intorno, intarsiata di stazzi, è selvaggia e straziante tanto è bella. Lecci, sughero, mirto, fiordaliso spinoso, ginestra, vitigni, erica, cisto e il lentischio combattono tutti i giorni con il vento di tramontana che soffia imperterrito e determinato.
Noi partivamo all’alba da Alghero per attraversare la Nurra, l’Anglora e poi finalmente arrivare al culmine della Gallura. Alghero poi Porto Torres, cittadina sul lungomare Balai, violentata dalla sconsiderata scelta di impiantare la, ormai fallita, petrolchimica. E via per tutta la strada panoramica provinciale che costeggia il mare. Platamona, dalla spiaggia ininterrotta con i suoi “pettini” e la pineta. Marina di Sorso, Lu Bagnu, tradizionale posto di colonia estiva per i bambini di tutta l’Anglona interna, terra costellata di piantaggioni di carciofi. Poi Castelsardo con il suo castello che sovrasta il promontorio e l’Isola Rossa e Badesi con le viti e le spiagge bianche bianche e il fiume e il ristorante La multa bianca di Minnena. Poi Vignola, Costa Paradiso, Pischinas, Rena Maiore e poi finalmente la Colba, la mia campagna, a 5 km da Santa Teresa.
Se un paradiso esiste è questo. Ora ripercorro spesso lo stesso tratto di Sardegna in barca a vela e nella crociera incontro anche Stintino e l’Asinara. Ci impiego 18 ore ma siccome il tempo non scorre uguale per tutto, per me sono solo 18 minuti.
Patrizia Sardo Marras