La città femminista

In conversazione con Leslie Kern di Valentina Pigmei

Da molto tempo non leggevo un saggio così visionario e insieme necessario, attuale, equilibrato, pieno di riflessioni sorprendenti, ma anche di idee da mettere in pratica, un libro che rispondesse a tutte le mie domande su città e femminismo, e ne ponesse altre, inesplorate. Forse perché La città femminista. La lotta per lo spazio in un mondo disegnato dagli uomini di Leslie Kern non è solo un libro, ma una mappa. I saggi che mi affascinano di più sono quelli che partono da un luogo, dal futuro e non dal passato. è così raro che la geografia, e non la storia, sia il punto di partenza, a volte di arrivo, di un saggio contemporaneo. La città femminista è una mappa ideale, un atlante del possibile, compilato da una geografa femminista canadese. Kern, partendo da sé e dalla sua esperienza di madre tra Toronto, Londra e la piccola città canadese dove oggi insegna, racconta come dovrebbe e potrebbe essere una città adatta alle donne, in cui le donne si trovino finalmente accolte, facilitate, sostenute da un tessuto urbano e sociale che – sembra una cosa ovvia! – tenga conto di loro. Uno dei capitoli più interessanti s’intitola proprio “Città di possibilità”: qui l’autrice fa esempi di nuovi spazi urbani alternativi, “piccole città femministe” che spuntano ovunque nei quartieri. è sufficiente, dice Kern, imparare a riconoscerle e coltivarle. “La città femminista è un esperimento continuo per vivere in modo diverso, migliore e più giusto in un mondo urbano”. Se vi sembra che non ci sia bisogno di femminismo, di luoghi sicuri per le donne, sbagliate. 

VP: Oggi è un giorno triste per l’Italia: in ventiquattr’ore sono state uccise quattro donne per mano dei loro mariti o fidanzati. Un’esponente politica ha commentato questa è “la sconfitta di una nazione”. Da nord a sud, in Italia è una vera catastrofe. Sicuramente sono giorni orribili anche per le donne afghane. Di chi è la responsabilità di questi avvenimenti? Dello Stato? Della politica?

LK: Mi verrebbe da dire che la responsabilità è del sistema globale patriarcale. In tutto il mondo, le donne affrontano minacce di violenza domestica e sono le prime e le più vulnerabili a essere danneggiate in caso di guerra o conflitti o altri disastri. Quello di cui sono certa è che la violenza contro le donne non è ancora stata presa abbastanza seriamente come dovrebbe essere, sia localmente sia globalmente. 

Quando ha scritto il suo libro non era ancora scoppiata la pandemia. Che cosa abbiamo imparato?

La pandemia ha contribuito a peggiorare la violenza contro le donne: isolamento dentro le abitazioni, incertezza economica, perdita di lavoro, stress. La pandemia è stata un reminder: ci siamo ricordati che per molte persone, donne e bambini in special modo, la casa non è un luogo sicuro. Spero che la pandemia ci abbia insegnato una cosa: che l’isolamento di una singola famiglia non è di nessun beneficio per le donne, sia per via della violenza sia perché ci si aspetta che le donne facciano la maggior parte del lavoro di cura dentro le case, un lavoro non pagato. Credo che molte donne abbiano dovuto lasciare i loro lavori retribuiti a causa di queste aspettative su di loro, e questo è un enorme passo indietro: ci vorranno decenni per ritornare in pari. 

“Se non c’è amore, non solo inaridisce la vita delle persone, ma anche quella delle città”, ha scritto Elena Ferrante, ne L’amica geniale, la storia di due amiche e di una città, Napoli. L’amore è un elemento essenziale per la città femminista?

Amo molto questa frase. E sì, certo è un elemento essenziale, perché tutti abbiamo bisogno di cura e amore e le nostre città possono e devono essere luoghi, dove le relazioni tra le persone – romantiche, familiari, amicali e così via – sono incoraggiate e coltivate. Possiamo farlo nelle città creando spazi pubblici gioiosi, accessibili, sicuri dove la gente può incontrarsi e trascorrere del tempo assieme.

La poetessa e saggista Adrienne Rich dice che la “nostra geografia più prossima” è il corpo delle donne. Si dice spesso che se fossero le donne a comandare ci sarebbe meno violenza, meno inquinamento, i bambini avrebbero più servizi. Perché è così importante partire dall’esperienza del proprio corpo?

È importante riconoscere che viviamo tutto attraverso i nostri corpi e non tutti i corpi sono uguali. Chi si occupa di politiche e pianificazioni nelle città di solito è molto focalizzato sull’economia e spesso dimentica che dei veri esseri umani con dei veri corpi devono potere vivere e godersi le città in cui vivono.

Una città femminista è anche una città dove vivono meglio gli uomini non solo le donne! Come lei spiega nel suo libro, si riuscisse a ridurre il pendolarismo cittadino e ci fossero più servizi per le madri, le città sarebbero meno inquinate e ne godrebbero tutti. 

Un esempio classico è quello delle “15 minutes city”, un modello di sviluppo urbanistico in cui ognuno può avere tutti i servizi di cui ha bisogno alla distanza massima di 15 minuti a piedi o in bici. Ecco, si sono molte similitudini tra l’idea della 15 minutes city e la città femminista, in particolare per quanto riguarda la necessità di integrare spazi di casa, lavoro, scuola servizi e trasporti pubblici e spazi verdi. Quando queste aree sono strettamente connesse gestire i mondi del lavoro e quello della casa diventa molto più facile.

Nel 2019 insieme ad altre donne ho fondato una associazione di promozione sociale che si chiama “La città delle donne”; visto che viviamo a Gubbio, che è una antica città medioevale, il nome che abbiamo scelto prende spunto da un testo del 1405 che si intitola “La Citè des Dames” scritto da Christine de Pizan. Pizan immaginò una città che fosse uno spazio di autonomia e libertà per donne virtuose… Insomma una geografa protofemminista!

Grazie per aver condiviso la storia di questa femminista ante litteram… Da secoli le donne immaginano, progettano, e persino costruiscono le loro case, i loro quartieri e le loro comunità. Possiamo imparare tantissimo da queste loro “vecchie” idee. Nel XIX secolo e all’inizio del XX, alcune donne si fecero avanti (e in alcuni casi addirittura costruirono) case e comunità che avrebbero dovuto alleviare le donne dalle incombenze domestiche. Per esempio le donne progettarono case prive di cucine e comunità utopiche, dove il lavoro di cura era svolto collettivamente da lavoratori ben pagati.

“Leggo. Viaggio. Divento”, scriveva il poeta Derek Walcott. Pensa che sia davvero essenziale viaggiare per le donne?

In molte culture il viaggio è visto come un percorso per l’autorealizzazione, quindi sicuramente direi che per le donne poter viaggiare in modo sicuro e gioioso è molto importante. Comunque non tutte le donne hanno questo privilegio. E ci sono molti modi di crescere e imparare e il viaggio è soltanto uno di questi.

“D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”, scriveva invece Italo Calvino ne Le città invisibili. Che cosa chiederebbe a una città?

Le domanderei: “Di chi vuoi essere?”

Nel libro si parla tantissimo anche di transfemminismo e intersezionalità… tanto che più volte mi sono chiesta perché il titolo non sia La città transfemminista.

Se lo avessi intitolato così, il lettore avrebbe pensato che sono un’esperta di questioni trans o che sentivo di poter parlare per i trans, cosa che, come donna cisgender, non posso fare. Tuttavia, ho voluto rendere molto chiaro nel libro che l’inclusione, la sicurezza e i diritti delle persone transgender sono parte della mia visione di ciò che la città femminista dovrebbe essere.

A questo proposito, vorrei raccontarle una storia che è accaduta a Roma qualche settimana fa. Un gruppo di femministe legate al centro Lucha y Siesta hanno realizzato un atto sovversivo a mio avviso molto riuscito, costruendo una sorta di fake news, con tanto di sito Internet (atac-lineafuxia.com) e pagine social dedicate, su una nuova linea urbana di bus che hanno chiamato “linea fucsia”, ovviamente inesistente. Il bus connette tutti i luoghi cruciali del femminismo cittadino, case delle donne, centri antiviolenza, consultori, sedi di associazioni, librerie femministe: “Una linea dedicata ai luoghi simbolo della lotta alla violenza di genere”. In sostanza, hanno ridisegnato una mappa ideale di Roma, a misura di donna come atto di ribellione contro il Comune di Roma che voleva riappropriarsi dei loro spazi tramite un’asta. 

Non conosco l’Italia, purtroppo. Ma sospetto che come in molti posti le città non siano state costruite avendo in mente le vite quotidiane, le responsabilità e le esigenze delle donne. Adoro l’idea di una linea dell’autobus femminista perché evidenzia come la rete dei trasporti spesso delude le donne dato che non fa un buon lavoro collegando gli spazi di cura e i luoghi del lavoro retribuito e non tiene proprio conto del fatto che i viaggi delle donne talvolta sono molto diversi dalla quotidianità degli uomini.

Comunque alla fine le donne di Lucha y Siesta hanno avuto la meglio e lo spazio della casa delle donne è rimasto a loro.

Questa sì che è una buona notizia!

Parlando di grandi città come Roma, nel suo libro lei cita una geografa femminista, Gerda Wekerle, che scrive: “Il posto delle donne è la città”. Non sono d’accordo su questo. Personalmente ho lasciato Roma quando sono rimasta incinta preferendo vivere in modo più decentrato. Non credo che le città italiane siano posti in cui vivere facilmente per le donne e tantomeno per le madri.

Io stessa vivo un una piccola città e sono d’accordo che le città non siano l’unico posto per le donne e che talvolta siano troppo ostili o costose e che nelle città a volte è dura tenere la rotta con tutte le responsabilità di casa e lavoro per le donne. Gli svantaggi di vivere in un piccolo centro però ci sono e includono la mancanza di anonimato e una netta prevalenza di visioni più tradizionali sulla famiglia, il matrimonio, la sessualità. A volte i trasporti pubblici lasciano a desiderare e i servizi sanitari sono di difficile accesso.