La sopravvivenza gourmet delle Isole Faroe

Testo di Carlo Spinelli
Fotografie di Claus Bech Poulsen e Luca De Santis

Conversazione con lo chef Poul Andrias Ziska del ristorante KOKS

Alle isole Fær Øer il vento freddo e il mare oceanico sono i motori che hanno scandito da secoli il pendolo della vita gastronomica dell’uomo. Dai primi sbarchi dei vichinghi, tra Norvegia, Islanda e Gran Bretagna, e i primi insediamenti dei monaci irlandesi, poco più di un millennio fa, la cucina faroese è stata fertile preda del clima e degli sghiribizzi norreni di Njörðr, il dio e sovrano del mare, del vento, delle perturbazioni, ma anche della fecondità e della prosperità. Tra bene e male, silenzio e burrasca, gusto e sopravvivenza, il ristorante KOKS nella capitale Tórshavn si è fatto carico di raccontare questi binomi, attraverso la sua cucina ai confini dell’Europa. Ma questa è solo la punta dell’iceberg, è la natura la vera protagonista.

Le diciotto isole dell’arcipelago delle Fær Øer sono strabilianti, sembrano poetiche sculture di pastello, nonostante abbiano sempre avuto intorno a loro raffiche violente e flutti instancabili, pioggia neve e nebbia che hanno impedito nei secoli la crescita degli alberi, le coltivazioni sistematiche e una vita tranquilla per gli allevamenti. È una terra assoluta, concentrata e isolata, suddita del vento e regina dell’istinto naturale: si racconta come spesso il mare impedisca di andare a pesca, di come in aprile le tempeste di neve uccidano a volte gli agnellini, da una notte all’altra, di come le verdure più deboli vengano sradicate dal vento, di quanto sia comune che i voli aerei vengano cancellati per il clima inflessibile. Ma il lato positivo risiede forse proprio in questo, nella profonda naturalità dell’ecosistema, nell’isolata bellezza della macchina naturale, nella purezza dell’aria e nel gusto selvaggio della pesca e della raccolta dei molluschi, nella caccia, nell’allevamento semi-brado e nel foraging.

Il mare delle Fær Øer è felicemente pescoso e abbondante di frutti iodati; le erbe spontanee, così come le alghe, i licheni e i muschi proliferano sorridenti. “Le creature dell’oceano rientrano nei menu faroesi da generazioni, mentre la tecnica di fermentazione della carne ovina si è sviluppata nel tempo per cercare di conservare proteine preziose durante tutto l’anno. Senza alberi infatti non si poteva affumicare e per l’umidità non si poteva neppure produrre il sale per la salatura” racconta il giovane chef Poul Andrias Ziska del KOKS. In queste terre vige dunque una dicotomia gastronomica tra le carni frollate e fermentate per lungo tempo e il freschissimo pescato, fortuna del mare clemente. Nello scorrere della storia, le ricette si sono altresì impreziosite di balene, delfini, pulcinelle di mare, crostacei carnosi e alghe aromatiche, tutti ingredienti che giungevano direttamente dai capricci di Odino, ma il più delle volte è stato l’ingegno umano a tramandarle e codificarle nei ricettari.

Le pance dei faroesi si sono nutrite per esempio “del skerpi kjøt (carne fermentata ed ‘essiccata’ al vento polare), di floride e sapide insalate di mare, del vitaminico e antiossidante grasso salato di focidi e cetacei, di tradizionali salse ottenute dal grasso di carne ovina e bovina fermentata, dei leggendari ræstan fisk (pesce lasciato fermentare e poi bollito) e garnatálg (intestino fermentato e ricoperto dalla sua membrana) che ricordano la cucina tipica delle nonne, poi del gabbiano fulmar, di alghe essiccate che sanno di tartufo, di grasso di ovino che sa di blue cheese e di uccelli acquatici la cui carne sembra manzo ma col sapore di pesce”, continua nel racconto Poul Andrias. Oltre a ciò si possono trovare anche moltissime varietà di funghi, tra cui il Psilocybe semilanceata, tra i più allucinogeni al mondo, come se non bastasse di per sé l’atmosfera visionaria del luogo.

Se da un lato si “masticano” cibi unici, anche la gola assetata può trovare però conforto nell’offerta autoctona. Così riporta la brava sommelier del KOKS, Karin Visth: “L’acqua del rubinetto è pura e cristallina – e anche un po’ dolce – ed è per questo considerato il miglior analcolico dell’arcipelago; i birrifici artigianali Føroya Bjór e Okkara Bryggjarí producono invece birre uniche, mentre Havið è la fortissima acquavite faroese. E poi ci sono anche i succhi locali a base di sambuco, di cinorrodo (bacche dei cespugli di rose) e di erba angelica, oppure fatti col rabarbaro e l’uva spina”. Un menu-zibaldone molto interessante quello del KOKS, ricco di cibo subpolare e beverage tipico della tundra.

Partendo da questo habitat culinario sui generis, che nei tempi è sempre stato altalenante nei confronti della sopravvivenza alimentare dell’uomo, ora le isole Fær Øer sono tuttavia considerate meravigliose zattere di pascoli infiniti, in perenne balìa del mare e del clima incontaminato del nord, e luoghi mistici dove sono mastodontiche, per esempio, le opportunità per i nuovi cuochi contemporanei, quelli che ardono pensando di avere solo la natura come zelante ispiratrice. 

Ma che lusso spropositato è quello di creare la nuova cucina nordica in terre desolate, di aspettare il pescato del giorno oppure di uscire e andare per scogliere a foraggiare o ancora a controllare le varie salamoie, infusi, fermentazioni di carne e pesce nelle proprie dispense? Poul Andrias Ziska lo sa bene, perché lo fa tutti i santissimi giorni al KOKS, il ristorante di Tórshavn, la capitale dell’arcipelago, di cui è chef. Insieme al proprietario Johannes Jensen e Karin Visth agisce come il rabdomante di una cucina d’avanguardia ma anche di matrice vichinga. Il boss Johannes rivela che “il ristorante nasce nell’aprile 2011 – in tempi quindi molto recenti – proprio per esaltare le materie prime millenarie delle Fær Øer. Antico e nuovo, il KOKS è il primo comunicatore e promotore della stessa cultura mangereccia dell’arcipelago!”. Poi però, parlando con Poul Andrias, anche altri argomenti affiorano nel loro splendore: “Il silenzio, il vento, il freddo, l’umidità e la natura selvaggia hanno portato a sviluppare la mente degli abitanti e a vivere in una sorta di concentrazione mistica, di sicuro atavica nel contesto antropico della storia umana, che si adagia sul sottile strato di subconscio; e i faroesi, senza accorgersene nella quotidianità della vita, hanno forse sviluppato un senso di contemplazione quasi soprannaturale nei confronti della natura”. Una simbiosi riverente, si potrebbe dire. 

Poul Andrias avverte questo misticismo mentre si procura alghe e erbe spontanee, cogliendo la potenza totale dell’astrazione con i gesti semplici del forage. Forse è per questo motivo che da tutto il mondo giungono per vivere un’esperienza gastronomica ai confini dell’Europa, per poter capire, attraverso ogni singolo ingrediente, quale sia la magia unica e pura di queste isole.

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