Niko Romito

Testo di Luca Iaccarino
Fotografie di Paolo Zerbini

Atterrato a Napoli volgo le spalle al mare. Là, dietro, c’è l’Italia da cartolina – Ischia, Sorrento, Capri, Amalfi – ma non è al Mediterraneo che sono diretto, è verso il centro del Paese. La macchina s’imbottiglia nell’hinterland campano – Casoria, Afragola –, poi ecco la Caserta della reggia e delle mozzarelle, ma superata questa il paesaggio cambia: mano mano che penetro nel cuore luminoso d’Italia attorno a me si gonfiano colline e dietro gli olivi spuntano i boschi, come quinte di un libro pop-up. Così, progressivamente, scompare qualsiasi segno di antropizzazione. Qui è come se l’uomo non fosse mai stato: l’unica traccia del nostro passaggio sul pianeta è il nastro d’asfalto su cui sto rotolando. Non una casa. Non una fabbrica. Non un capanno. Nemmeno un traliccio. Il mondo come dev’essere stato centomila anni fa. Un milione, forse. L’Abruzzo è così.

Percorrendo la Statale 17 arrivo finalmente a destinazione: parcheggio nello spiazzo e mi fermo davanti all’autososta in costruzione. Proprio in questo istante gli operai stanno montando l’insegna: è una scritta rossa e dice “Alt – Forno & Brace – Caffè & Dolci”. È la fine dell’estate 2018 e Alt è l’ultimo progetto di Niko Romito, il cuoco fortissimamente abruzzese che in diciotto anni ha conquistato il mondo: oggi conduce i ristoranti all’interno degli hotel Bulgari a Beijing, Dubai, Shanghai e Milano, i bistrot Spazio a Milano e Roma, lo street food Bomba a Milano, il progetto “Intelligenza nutrizionale”, ma il cuore e il cervello di tutto il suo lavoro sono contenuti nei pochi chilometri che dividono Castel di Sangro da Rivisondoli. A Rivisondoli – 688 abitanti – tutto è nato, a Castel di Sangro, in quel che fu il monastero cinquecentesco di Casadonna, oggi c’è il ristorante Reale – tre stelle Michelin – e l’Accademia Niko Romito che ogni anno sforna 32 diplomati in “cucina italiana professionale”.

A verificare che la scritta “Alt” sia montata diritta c’è lui, Romito, quarantaquattro anni, cranio rasato, barba puntuta, fisico asciutto, sorriso candido, voce dolce e mania di controllo. “Alt” è una cosa che non c’era: un’autososta pensata per le statali. “La 17 è la dorsale tra il Tirreno all’Adriatico: passano tutti di qui, camionisti, turisti, rappresentanti di commercio, bikers. Gli darò pollo fritto, trota alla brace, la focaccia con la porchetta, le crostate, il ciambellone di mia mamma.” Ma “Alt” è anche un varco temporale che riporta nell’Abruzzo del vecchio millennio, alla vita di campagna, al sapore dell’infanzia.

L’Italia degli anni Settanta – con lei l’Abruzzo, Rivisondoli – era un altro Paese. Posto di contadini. Di pastori. Il nonno materno di Romito, Vincenzo, faceva la guardia campestre: lo chiamavano “il girapaese” perché il suo compito era quello di controllare i campi, i pascoli. Il papà di Niko, Antonio, dopo una vita avventurosa – geometra, era stato tredici anni in Venezuela prima di tornare e avviare in sequenza un albergo a Roccaraso, un camping nel Teramano, un negozio di mobili a Pescara – aveva aperto un bar-pasticceria a Rivisondoli ma lui, bambino, preferiva stare con il “girapaese”: andavano di stazzo in stazzo a trovare i pastori e tutte le volte ci scappavano un pezzo di caciocavallo, di ricotta salata, un tocco di pane, un pancotto (una zuppa di brodo, uovo, pane, olio). “Sembra preistoria ma erano trentacinque anni fa – dice lo chef –, qui portavano un sacco di mucche e pecore dalla Puglia.”

“La mia passione assoluta erano le salsicce conservate nello strutto. Sarà la memoria che rende tutto straordinario, sarà che ero bambino, ma ricordo un gusto pazzesco. Quando i parenti per il compleanno mi chiedevano ‘Niko, che ti regaliamo?’ rispondevo sempre ‘Le salsicce sotto lo strutto’”. Quando parla della sua infanzia abruzzese – di quando all’insaputa di sua madre il “girapaese” gli dava il VOV – al cuoco-imprenditore ridono gli occhi: “Le radici sono le radici, non avrei mai potuto lavorare in una città.”

Eppure stava per accadere: adolescenti, Niko e le sorelle Cristiana, Sabrina e Debora si trasferiscono con la madre a Roma per studiare – lui economia – e nel frattempo le cose a Rivisondoli cambiano.  Nel 1998 il padre Antonio decide di trasformare il suo Royal Bar in trattoria per sciatori: Roccaraso, proprio qua sopra, è una stazione sciistica di fama, la cui fortuna risale al 1897 quando vi arrivò il treno e con esso gli alberghi; i primi “skiatori” scendevano per queste piste già nel 1910. Tuttavia dopo un anno non si ferma più nessuno: “Erano tutti arrabbiati perché aveva chiuso la pasticceria. – racconta il figlio – Allora allestì un angolo colazioni e visto che disegnava benissimo prese un cartello, lo tinteggiò d’un color champagne e ci scrisse sopra: “ALT – Colazioni e ristorante.”

Ecco da dove arriva l’insegna Alt che gli operai stanno montando di fronte agli occhi di Romito: è una citazione di quella di suo padre di vent’anni fa. Alt: fermati. E poi riparti. Del resto è quello che fa Romito da allora: appena raggiunto un traguardo, si rimette in moto. Non è facile, anzi è faticoso: quando nel 2000 suo padre muore d’un tratto, lui, la madre e le sorelle tornano in Abruzzo per decidere che fare della trattoria. Si poteva lasciare andare tutto, invece qui, a Rivisondoli, c’è una cosa importante: le radici. È allora che Niko comincia a diventare Romito: crea la sua personalissima cucina, fatta di rigore e nitore, salubrità e sapore. Nessuna concessione alle mode, agli effetti speciali, al foodporn: in Romito l’essenziale è invisibile agli occhi, e quelle che alla vista sembrano una semplice scodella di brodo o una fetta di carne nuda esplodono di gusto in bocca. “Furono tempi difficilissimi, il locale era vuoto, non avevamo i soldi nemmeno per pagare le utenze. Ma io ero convinto di quello che stavamo facendo. ‘Ci devi credere, mamma!’ continuavo a ripetere”, dice lo chef. E sua madre – una signora dall’aria volitiva come il figlio – conferma: “Quando ha preso le tre stelle Michelin gli ho regalato una targa con sopra inciso: Mamma, ci devi credere!” Ride.

Sul retro dell’edificio in cui sta “Alt” è nascosto un altro dei progetti dello chef. Si chiama “Pane” ed è un laboratorio in cui si sfornano pagnotte per le attività del gruppo e presto anche per altri grandi ristoranti. Tutto è iniziato nel 2014, quando, dopo anni di ricerca, nel menu del Reale è apparsa la portata “pane”. Proprio così: pane. E non nascondeva null’altro: in tavola arrivava – e arriva tutt’oggi – una pagnotta perfetta, fragrante, profumata. “Il pane è uno degli alimenti migliori che esistano, per mio nonno Vincenzo era sacro: se cadeva lo baciava.”

Questo pane nasce qui, a poche centinaia di metri da “Alt”. Basta prendere l’auto e arrivare fino all’Altopiano delle Cinquemiglia dove, nel silenzio dei 1250 metri sopra il livello del mare, si china sotto il vento il solina. Il solina è un grano antico come il saragolla, e sono quelli che Romito usa per le proprie forme: “hanno aromi unici e una minor presenza di glutine.” Il solina è un simbolo dell’Abruzzo: è un grano tenero che cresce qui fin dal Cinquecento ma che era stato soppiantato da altri con rese maggiori finché a inizio millennio non l’ha riscoperto l’agronomo Donato Silveri.

La collina è coperta di spighe gialle che fluttuano in sincrono, come onde. È una delle caratteristiche che hanno determinato la (quasi) scomparsa di questo grano tenero: si “alletta” facilmente, cioè si piega sotto le intemperie, rendendone difficile la raccolta. Ciononostante Romito si è messo d’accordo con l’agricoltore Valerio Buccicone e da quest’anno gli comprerà tutta la produzione. Perché il solina è buono. Perché è sano. Perché nasce vicino a dove è nato. Perché proprio qua accanto aveva casa il nonno Vincenzo, il girapaese. E nella vita le radici contano. Anche se il tuo nome è inciso sulla porta di un ristorante di lusso a Shanghai.

Niko Romito dal 2000 gestisce con la sorella Cristiana il ristorante Reale. Cuoco autodidatta, profondamente legato al suo Abruzzo, in soli sette anni ha conquistato tre stelle Michelin. Ha cominciato a Rivisondoli, nell’ex pasticceria di famiglia, divenuta trattoria, e nel 2011 ha trasferito il Reale a “Casadonna”, ex monastero del Cinquecento a Castel di Sangro.

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