Bar

Testo di Davide Giannella
Fotografie di Claudia Zalla, curate da Anticàmera Location

How Do You Say Aperitivo?

Per diverse ragioni la relazione di Milano con il bere è piuttosto buona. Industrie come la Branca (1845) o la Campari (1862) hanno tuttora la propria sede in città e, per quanto il rito dell’aperitivo sia di origine torinese, è all’ombra del Duomo che trova la sua maggiore diffusione e consacrazione. Tuttora in voga, contraltare e allo stesso tempo rafforzativo dell’immagine produttiva e laboriosa della città, l’aperitivo per chi vive a Milano sembra essere un’abitudine imprescindibile per definirsi propriamente milanesi. Racconta lo stacco da una pesante giornata lavorativa ma, molto spesso, il bar diviene anche una succursale del proprio studio o ufficio per portare avanti gli affari in maniera più informale.

Anche l’usanza dell’aperitivo, come molte altre, è stata espressione e riflesso di andamenti e attitudini della città nel suo complesso. L’espressione “Milano da Bere’’ è stata sinonimo del disimpegno, del rilancio economico, dell’edonismo yuppie negli anni Ottanta. Si riprendeva a uscire e il vino delle assemblee politiche sostituito dal Gin Tonic o dal Long Island attorno a banconi laccati e vetri fumé.
Il decennio successivo, aperto nel 1992 dall’inchiesta di Tangentopoli, partita proprio da Milano per estendersi a tutto il paese, fu caratterizzato dall’avvento degli Happy Hour. In risposta alla crisi economica che serpeggiava in città fiorirono miriadi di cartelli colorati che invitavano a bere a metà prezzo tra le 18 e le 21.

Nell’offerta erano sovente compresi buffet strabordanti di cibo, probabilmente di quello avanzato dal servizio di pranzo degli stessi locali. Un periodo che ha visto l’ascesa dei pestati come il Mojito o la Caipiroska alla fragola assieme all’aumento delle intossicazioni alimentari. Come reazione a questo abbassamento della qualità in funzione della quantità (di drink e clienti) una decina di anni dopo, come preambolo dell’odierna mania foody, anche a Milano sono nati diversi bar in cui poter bere molto bene e trovare mixologist preparati e consapevoli, professionisti delle miscele alcoliche capaci di spaziare con enorme pertinenza dalle ricette più tradizionali a nuovi signature drink. Pur alzandosi di molto l’asticella della qualità nel bere, molti di questi nuovi locali sembrano essere più dei palcoscenici per i bar tender che vi lavorano piuttosto che dei luoghi di ristoro per gli avventori.

Esistono poi – e aggiungerei per fortuna – una serie di luoghi in cui è ancora possibile trovare degli ottimi drink, la giusta attenzione al cliente, dei piccoli accompagnamenti salati per meglio assimilare le bevande e sentirsi, in una qualche maniera, parte integrante del panorama umano milanese. Quelli di cui parlo sono i cosiddetti bar storici, bar della tradizione che hanno mantenuto integri, oltre agli interni e alle stoviglie, anche i modi e i rituali dell’aperitivo meneghino: i camerieri in divisa, la sobrietà dei toni, l’empatia con i clienti, la totale assenza di musica, una lista dei drink di tipo classico molto solida e un’innata capacità di ripetere da decine di anni gli stessi gesti nelle preparazioni. Sono, questi bar, dei luoghi in cui ogni tipo di tendenza passeggera è stata osservata con la dovuta distanza o sufficienza. Per questi aspetti, i bar storici rispecchiano molto anche il volto di Milano, protesa da sempre verso l’estero ma comunque ancora piccola e localista, sobria e cortese ma per alcuni aspetti ancora un po’ rigida, trasversale e curiosa ma comunque affezionata alle proprie rassicuranti tradizioni. 

Molti dei bar di cui stiamo per raccontare, aprono sin dal mattino per servire le colazioni e producono all’interno dei propri laboratori anche torte, piccola pasticceria, panini e salatini. Gli orari di chiusura variano, tra le 22 e le 2 del mattino. La nostra indagine è stata però sempre eseguita tra le 18.30 e le 20.30, incentrandosi appunto sull’orario dell’aperitivo, su quel momento che ci traghetta tra la fine della giornata e la dimensione notturna. Una sfumatura tipicamente milanese. 

Bar Basso

Molto spesso, quel che oggi ci appare tradizionale in realtà porta con sé molti aspetti di un carattere, alla nascita, innovativo. È il caso del Bar Basso. Nato nel 1947 e divenuto dal 1967, grazie alla guida di Mirko Stocchetto e successivamente del figlio Maurizio, uno dei primi bar di Milano a eseguire miscelati secondo le regole dei bar internazionali. La modernità, si sa, non sta solo nelle invenzioni ex novo ma anche nella capacità di reinterpretare la storia, un’attitudine che al Bar Basso può essere ritrovata in molte delle loro preparazioni, su tutte nel celeberrimo Negroni Sbagliato: Bitter, Vermouth Rosso, Prosecco. Il tutto contenuto in bicchieri da gelato oversize e raffreddato da un unico blocco di ghiaccio in luogo dei classici cubetti, in maniera da raffreddare la bevanda senza annacquarla eccessivamente. Altrettanto nei Vodkatini “con servizio’’, ovvero serviti all’interno di piccoli bicchieri in alluminio a loro volta inseriti in una mini glacette monodose colma di ghiaccio tritato. Il successo che riscontra nel mondo del design (e più di recente dell’arte), che ogni anno durante il Salone del Mobile si riversa in massa sui marciapiedi adiacenti, è da imputare a James Irvine, designer inglese ma milanese dagli anni Ottanta, che amava concludere le riunioni di lavoro con Jasper Morrison o Mark Newson proprio qui. 

Camparino in Galleria

Gli amanti dell’arte e in particolare quelli del futurismo, avranno ben chiaro il dipinto Rissa in Galleria di Umberto Boccioni, datato 1910. Tra la folla descritta nel quadro è possibile scorgere anche l’ingresso di un caffè. Quel caffè, la buvette di Gaspare Campari, divenne cinque anni più tardi, spostandosi di pochi metri, il Camparino in Galleria che tutt’oggi rappresenta uno dei baluardi della milanesità: nonostante si trovi in Galleria Vittorio Emanuele II e offra una vista diretta sul Duomo, gli interni liberty sembrano non rientrare tra gli interessi dei numerosi turisti che gravitano in quella zona. È forse questo il motivo per cui al Camparino i cocktail – su tutti il bitter shakerato – possono ancora essere gustati direttamente al banco, accompagnati da croccanti cetrioli sottaceto e da qualche nocciolina, con la possibilità di contemplare i mosaici che ricoprono le alte pareti interne in totale serenità.

Caffè Pasticceria Cucchi

Il Caffè Pasticceria Cucchi, o Cucchi, come molti sono soliti chiamare questo bar, esiste dal 1936. Sorge all’angolo tra corso Genova e via De Amicis (Milano sud), in un’area che a quell’epoca era considerata semi periferica e che la leggenda vuole fosse famosa per l’alta presenza di borseggiatori sino ai primi anni Ottanta. Nonostante questo, Cucchi ha sempre vantato un’ottima clientela, probabilmente anche grazie all’alta qualità delle sue proposte. Oltre agli ottimi Martini Cocktail, serviti in coppetta affiancata dallo shaker per il rinforzo, anche il Cucchi, la deliziosa miscela inventata qui negli anni Quaranta: bitter, biancosarti, aperol, poco brandy e ghiaccio, il tutto servito in un tumbler basso e necessariamente accompagnato dalle mandorle tostate della casa. Oggi costituisce per i suoi avventori abituali un vero e proprio punto di riferimento professionale e sociale. Col bel tempo, all’ora dell’aperitivo, scorrendo lungo l’arco formato dai tavolini all’esterno del bar, è possibile riconoscere buona parte della – vera o presunta – intellighenzia meneghina. 

Gattullo Pasticceria 

Una delle caratteristiche principali di Milano è la capacità di accogliere e convogliare persone e comunità da varie parti della penisola e, oggi, del mondo. Tra le comunità più “milanesi’’ c’è quella pugliese, formatasi attraverso le massicce migrazioni del secondo dopoguerra. Tra tanti migranti c’era anche Giuseppe Gattullo, partito da Ruvo di Puglia per aprire nel 1961 una piccola pasticceria. Oggi, oltre alla pasticceria che continua a sfornare i famigerati panettoni (appunto, un pugliese che produce il dolce simbolo della città), si può usufruire di ottimi cocktail classici come Negroni, Martini, Gin Tonic o affidarsi al Domenichino, la mistura alcolica della casa la cui ricetta rimane tuttora segreta. Tra gli anni Sessanta e Ottanta, Gattullo è stato la sede per gli incontri di tutta la scena dell’avanspettacolo milanese, da Jannacci a Pozzetto, da Toffolo a Gaber. Tutti clienti abituali, molti dei quali hanno lasciato come segno del proprio passaggio ricette di sontuosi panini. Passando di qui all’ora dell’aperitivo si possono incontrare numerosi professori della vicina Università Bocconi parlare del futuro dell’economia mondiale, anche se le conversazioni più interessanti sono senza dubbio quelle che possono nascere con Domenico, accogliente proprietario e memoria storica del locale, che da cinquant’anni, quotidianamente, passa qui il suo tempo a intrattenere clienti e controllare che gli standard qualitativi del servizio proposto rimangano quelli di sempre. 

Pasticceria Cova

Sin dalla sua fondazione nel 1817 all’incrocio tra via Manzoni e via Verdi, uno dei presupposti di Cova era l’alta qualità dei prodotti come degli arredi, fatti di frassino con intarsi in noce d’India. Sede della resistenza anti austriaca durante le Cinque Giornate di Milano, cambiò collocazione a causa dei bombardamenti del 1943. Dal 1950 la sede di Cova è nel cuore del quadrilatero della moda, in via Monte Napoleone. Come unico bar della via, negli anni è stato senza dubbio il riferimento di chiunque cercasse ristoro dopo estenuanti sedute di shopping, per chi frequentasse i numerosi uffici legali della zona o, stando a un famoso rumor, per giovani gigolò in attesa di sfondare sulle passerelle. Rimane senza dubbio un luogo dove bere champagne e vivere certi lussi in maniera sobria ed elegante. 

Pasticceria Marchesi

Rispetto ad altre città, caratterizzate da una bellezza lampante ed esplicita, Milano è stata spesso descritta come una città da scoprire. È il caso questo, soprattutto della zona di corso Magenta, l’area ambrosiana per eccellenza, ricca ma mai eccessivamente sfarzosa, sobria ed elegante secondo la più spiccata tradizione milanese. Proprio su corso Magenta, all’angolo con un dedalo di vie tracciate ancora dagli antichi romani e a poche centinaia di metri dal Cenacolo Vinciano, sorge nel 1824 la Pasticceria Marchesi. Rimanendo del tutto intatto rispetto al progetto iniziale, Marchesi colpisce sin dall’esterno per le insegne in vetro e oro o per le boiserie che ne incorniciano tutta la facciata. Gli interni ovviamente non sono da meno e a spiccare in questo caso è il bancone in acciaio e ottone che, solenne e un po’ segnato, è l’appoggio ideale per bere il proprio aperitivo – sia questo a base di bitter o vermouth –, in solitudine o in gruppo, purché i toni rimangano quelli pacati che contraddistinguono da sempre l’ambiente del locale e l’umanità dell’intero quartiere. 

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