California arcobaleno

Testo di Paola Corini
Fotografie di Luca De Santis 

Had I Moved Onto Another Scene?

La storia di Michelin inizia nel 1889 per mano di due fratelli francesi, André e Édouard, una moglie scozzese, il caucciù e l’immaginazione del trasporto moderno. La prima Guida Rossa (di colore blu fino al 1931) è pubblicata in 35.000 copie con la seguente profezia: “Questa guida nasce con il secolo, durerà tanto quanto lui”. Il manuale gratuito è per le poche migliaia di automobilisti francesi che si mettono in viaggio ed è un censimento pratico di pompe di benzina, garage, officine, hotel e ristori. Nel 1926 Etienne Michelin, figlio di Édouard, crea le stelle per le buone tavole di provincia. Un ristorante su cui brillano tre stelle “vale il viaggio”, due stelle “merita una deviazione”, una stella è “un’ottima cucina”.  Come un manuale che esprime il gradimento delle cucine testate lungo un itinerario in automobile possa diventare popolare è una storia che si ripete nei secoli e che la California incoraggia. 

Jonathan Gold nacque a Los Angeles nel 1960 e studiava arte e musica alla UCLA quando sposò un’ambizione stramba e meticolosa (che descrisse come l’alternativa piuttosto ragionevole alla laurea): mangiare almeno una volta in ogni ristorante di Pico Boulevard. Pico è un nastro d’asfalto, incollato per oltre quindici miglia di lunghezza da Ocean Avenue, Santa Monica a Central Avenue, Downtown L.A. Gold iniziò da una manioca fritta in una pupuseria latina e scese piano piano in direzione ovest fino alle patate fritte con chili del messicano vicino alla spiaggia. In pochi anni divenne un giornalista di punta del Los Angeles Times e nel 2007 fu il primo Premio Pulitzer per articoli di critica gastronomica. Pico crea divisioni di quartieri e gli sembrava una delle strade più vitali al mondo quanto a cibo “pan-etnico”. Nel settembre del 1998 Gold concludeva così un suo articolo: “Was Pico really all that it had seemed to be? Or had I moved onto another scene?”. (Pico era davvero quello che mi era sembrato? Oppure ero finito da tutt’altra parte?). 

Ovunque si muova Gold ancora oggi, vale la pena fare un salto subito, andare a imparare i menu di una terza-generazione di trentenni che probabilmente hanno un’ambizione altrettanto meticolosa: imporre le “cucine povere” tradizionali delle loro famiglie esotiche come tappe culinarie che valgano il viaggio, in una metropoli vissuta in automobile. 

Los Angeles è un territorio intero, a volte ci si può dimenticare del suo oceano, a meno che non si decida di farsi una casa al mare, perché si può amare ancora Venice. Come si ama ancora quel canyon spettinato che è Topanga, dove qualche volta sogniamo di vivere. Oppure Sunset Boulevard quando curva giù tra le colline di Los Feliz e Silver Lake come un dolce scivolo ad acqua a più corsie. Ma erano i giorni a Downtown L.A. a non bastarci. Non ci annoiava mai tornare in S Santa Fe, la mattina quando Bread Lounge sforna i Balkan Borek cosparsi di sesamo e cotti fino ad abbronzarsi, la notte quando le ruspe continuano a demolire i piloni di superstrade sconosciute che probabilmente portavano oltre il fiume. L’altra scena losangelina dentro la quale volevamo muoverci per mille motivi è quel trapezio che da Downtown arriva al Los Angeles River e che si chiama Arts District. 

“Oh, Phenomenal!”, Carl usava questo vocabolo almeno un paio di volte in ogni conversazione e quanto era azzeccato per Los Angeles. Avere uno spazio davanti a Hauser Wirth & Schimmel. Phenomenal! Non sembrava possibile trovarsi per caso, poche ore dopo esserci conosciuti, in altri vestiti, faccia a faccia al bancone di Simbal in quella suite nascosta di Little Tokyo – l’open kitchen di uno degli chef più promettenti della città a separarci. “Are you fucking following me, guys?”. “Oh, giuro che non vi dirò dove vado a cena domani sera, ma domani mattina ci vediamo per colazione da Bread Lounge, Bread Lounge, ok?”. Noi e Carl amavamo la stessa Los Angeles e ogni singola splendida portata di quella neonata izakaya vietnamita. 

Los Angeles ci tratteneva a sé come un fratello maggiore che ha accesso alle cose migliori e ce le concederà prima, quando San Francisco aveva lasciato che uscissimo dal suo grembo in fretta. La potenza di San Francisco era per noi la segretezza di Bolinas, la selvaticità di Bohemian Highway, la felicità dei fasci di fiori spontanei della Bay Area, la follia della campagna e dell’oceano come maniera di vivere. Nel nord della California sembrava di tenere in pugno un pizzico di ogni natura sorprendente del mondo di cui avevamo nostalgia – il Western Cape sudafricano, la Kenai Peninsula d’Alaska, la Corsica. Poi le ossa ci avevano chiesto di scaldarsi al sole del sud, avevamo guidato duecento miglia e si era materializzato il nostro posto tra piante grasse, accenti latini, pareti di calce rosa, enchilada di bietola, zucca e cipolle, pancetta di fattoria, tramonti cremisi, granai in festa. 

Città assonnate

Sempre, dall’alba al tramonto, il cancello bianco di Oso Flaco Lake sarà aperto. Oso Flaco significa “orso magro” e c’è una leggenda per questo nome, una leggenda che porta ai Chumash, i nativi americani che navigavano l’oceano su imbarcazioni piccole e strette. Crediamo di averli sfiorati su quella passerella di legno – un cenno del capo e un sussurro nella loro lingua uto-azteca, scalzi e veloci tra salici di torrente, mirice e sabbia, di ritorno dalla pesca. Il sentiero di Oso Flaco è un miglio in cammino con se stessi, vale una sessione di rilassamento finale di ginnastica con i suoi fruscii di alberi lacustri, gli sguizzi di uccelli acquatici, il suono di onde e vento dolce negli orecchi. Insieme alla GuadalupeNipomo Dunes è una riserva occulta tra due cittadine occulte, Guadalupe e Los Alamos. Il cero bianco grosso e alto con la stampa di Our Lady of Guadalupe, la loro Vergine Maria a tinte sgargianti, trionfava sul tavolo della nostra suite d’angolo. Nel tinello che dava sul cortile era incorniciata la mappa antica della Santa Barbara County, marcata con i confini delle terre da pascolo e i nomi di tutti i “rancho” dei primi spagnoli e messicani delle missioni di fine Settecento. 

Tutte le volte che digiterete Los Alamos, Goole Maps vi porterà in New Mexico, poco lontano da Albuquerque e i suoi libri rari, mille miglia lontano da questa Los Alamos, che è in California. Los Alamos, California ha qualcosa dell’inland, del sud-ovest degli Stati Uniti, di un incrocio deserto. Una Old Town caduta sotto un incantesimo sottile tra le vigne della Santa Inez Valley. Dal 1861 al 1901 le carrozze sostavano all’altezza dell’Union Hotel, che aprì nel 1880 ai forestieri per la notte. Le camere del piano superiore questa sera sono tutte chiuse a chiave, le finestre del saloon murate con travi di legno, le lampade sopra il tavolo da biliardo accese. La nuova gestione sembrava non avere le idee chiare su cosa è stato l’Union Hotel, tantomeno su cosa farlo diventare e comunque non ci piacerà, a cominciare dalla nuova cartolina postale con una Ferrari rosso-Ferrari ferma lungo il portico a colonne di legno. 

Eppure tutti gli altri nuovi arrivati in paese hanno capito precisamente Los Alamos e hanno preso in consegna la migliore avventura americana di ranch, tori e cavalli, campi di olive, broccoli e lattughe, fragole, uve, estate mediterranea perennemente tiepida. 

Quando arrivammo a Ojai le arance erano mature, i cactus traboccavano dalle serre. All’incrocio tra Matilija Street e Canada Street, dal 1964, esiste una grande libreria indipendente all’aria aperta, si potrebbe quasi dire una biblioteca: una tettoia leggera serve da soffitto, le librerie da pareti, la sala lettura è un patio all’ombra di un albero a ombrello, la cassa versa anche tazze di caffè. Un posto dove si possono lasciare libri in giardino è un luogo dove potremmo vivere, pensammo. 

Sette colori fra il cielo e la terra. Nella Bibbia l’arcobaleno è il segno del patto tra Dio e il genere umano dopo il diluvio. È come se avessero messo un arco sulle nuvole, dal nord al sud della California, lo vedrete brillare soprattutto a Ojai e ricorderete l’alleanza del cielo con ogni essere vivente che è con noi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono sbarcati dall’arca. 

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