Giordania

Testo di Colin Pantall
Fotografie di Catherine Hyland

(Testimonianza raccolta da Colin Pantall)

Ricordo che all’arrivo, la prima volta che misi piede in Giordania, rimasi incantata dalla musicalità delle preghiere che riecheggiavano, intense e appassionate, in tutta la città. Quando arrivi a Petra la prima volta è questo che provi. Qui tutto è affascinante, è emozionante, i vasti paesaggi e i monumenti ottenuti ricavando dalla roccia grotte e templi con grande impegno e fatica. Petra infonde la sensazione che, per anni e anni, vi sia accaduto qualcosa di molto più grande di te. Nel grande schema delle cose ci si sente molto piccoli. 

La seconda volta che ci sono stata, mi sono tornati in mente questi ricordi mentre ci dirigevamo in automobile verso Petra. Arrivati la sera, abbiamo proseguito fino all’accampamento beduino. Lì, poco alla volta, è subentrato un rallentamento generale. Il ritmo della vita qui non è veloce. Fai il caffè e occorrono due ore e mezza, il battito cardiaco si regolarizza, il sangue scorre un po’ più lento, ti abbandoni a vivere nel deserto…

Petra

Qui si sovrappongono molte storie diverse. C’è il lontano passato; c’è il luogo dove è sepolto Aronne, fratello di Mosè; c’è il luogo dove Petra è diventata una meraviglia dell’architettura rocciosa con il Tesoro e la biblioteca, vanto del posto. E tutto ciò, in questo arido paesaggio, fu possibile grazie al sistema di raccolta dell’acqua, grazie a ogni singola goccia conservata in un complesso sistema di cisterne sotterranee. 

E poi c’è la storia più recente dei beduini. Fino al 1985 hanno vissuto nelle grotte accanto ai monumenti, da allora si sono traferiti tutti lontano da Petra e oggi abitano nella città di Wadi Musa. Haboob, la nostra guida, ci ha raccontato della loro transizione dalle grotte alle case di cemento. Ha detto che tutte le anziane, che in precedenza avevano vissuto in spelonche, una volta trasferitesi nelle case hanno pensato alla magia vedendo uscire acqua dai rubinetti. Ancora oggi, però, provano nostalgia per le grotte, per natura fresche e impregnate di storia come nessuna loro nuova casa potrà mai essere. 

Tuttavia, i beduini strinsero un patto che prevede che siano le uniche persone autorizzate a gestire i flussi turistici a Petra, il che è un bene. Il turismo porta soldi e secondo me questa è l’altra attrazione di Petra. Sono affascinata dal turismo e da come esso trasformi un luogo. 

Vedendo interagire la gente del posto e i turisti, in una sorta di addomesticamento del paesaggio, mi rendo conto di esserci già stata prima d’ora col pensiero. Per realizzare il mio progetto intitolato Universal Experience ho visitato in Cina alcune regioni trasformate in quadri-eventi pubblicati su Instagram, e qui provo quella medesima impressione, ma nei confronti di un’attività turistica che imprime un marchio ancora più grande all’identità di questo posto. 

Petra implica un’attività commerciale vera e propria e in questa piccola zona nei pressi del Tesoro converge un assortimento bizzarro di persone di nazionalità diversa che si spostano in direzioni differenti. Gli americani fotografano ogni cosa, i cinesi camminano in gruppo, i nordeuropei sono incantati dal sole. Haboob mi racconta come i beduini considerano le varie nazionalità qui a Petra: gli inglesi sono cortesi nel parlare, ma non scuciono soldi; gli americani in genere sono esasperanti, ma sono anche i turisti con più denaro. Quanto ai turisti israeliani, ovviamente, scatenano grande rancore. 

A Petra il business del turismo è molto scaltro. È come se tu arrivassi e facessi subito parte del gioco. Senti l’ossessione di ricreare alcuni episodi storici. Ci sono riusciti, quindi è un gioco molto discreto, ma sembra proprio tale: il gioco di chi riesce a spremere più soldi possibile ai turisti. 

A Petra quell’idea di esperienza universale era così evidente che volevo superarla andando oltre. Le mie fotografie riescono in questo intento. Ti chiedono come andare oltre l’idea di un luogo, raggiungendo l’essenza del posto, come sottrarti al romanticismo e alla feticizzazione del popolo beduino per arrivare a conoscere la gente vera, con tutto il suo fascino e le sue contraddizioni. 

L’itinerario

Abbiamo lasciato Petra la mattina seguente e, pochi minuti dopo, la città, la storia, la gente, la teatralità erano già sparite. Dopo aver percorso a piedi 400 metri appena, all’improvviso non c’era nessuno. È stato come fare un passo nel vuoto o attraversare un cunicolo spaziotemporale fino a questa terra che nessuno visita mai. Abbiamo iniziato a camminare lungo queste rade pareti di roccia e ci siamo trovati in fondo alla vallata. È arida, è piatta, è calda e inizi subito a percepirne l’energia, il potere della terra non affievolito dal crepitio deconcentrante dell’energia umana. Camminiamo in spazi desolati e vuoti, camminiamo in aree incontaminate, l’andatura rallenta ancor più e non c’è anima viva. 

Il primo giorno percorriamo 29 chilometri. Mi fanno male i piedi, tanto abbiamo camminato. Ho le braccia intorpidite da quante fotografie ho scattato ai paesaggi. Il giorno finisce e qui la fine di ogni giorno è un momento stupendo. Guardo in alto e vedo le stelle. Mi trovo all’aperto, negli elementi, sotto un cielo biblico. I beduini sistemano alcuni materassi e accendono un fuoco di campo. Mangiamo i piatti tradizionali a base di riso e carne che ci preparano, e sediamo e beviamo un whiskey o un gin insieme a loro. Questo non è quel genere di itinerario nel quale a fine giornata entri in tenda e ti chiudi dentro, lontano dagli altri. 

In questo mondo, in questa terra, stare con la gente significa sopravvivere. Perché mai vorresti restare solo? La pensano così, da queste parti. Quindi mi siedo accanto al fuoco, chiacchiero e mangio e bevo e ascolto. I beduini sanno come intrattenerti, sono aperti e si interessano alle diverse culture. Molti di loro hanno sposato persone di altre culture e hanno vissuto vite particolari, abitando in grotte, lavorando per il turismo e, poiché gli uomini sono molto attraenti, alcuni si sono sposati più volte. Sotto il luccichio delle stelle del deserto, Haboob ci racconta dei personaggi famosi che ha accompagnato a visitare Petra. George Clooney era molto affascinante e Will Smith è stato il più gentile di tutti, dice Haboob. 

Chiacchierare e trascorrere del tempo in compagnia dei beduini è parte del fascino di questo itinerario. Pensano in modo molto tradizionale, ma sono affascinanti, accoglienti e dotati di senso dell’umorismo, al punto che ti capita di prendere atto di quanta caducità e assurdità ci siano nella tua vita. E così rallenti ancora di più e scivoli un po’ di più nel loro modo di essere, in sintonia con il paesaggio. Il deserto diventa una parte di te. Ne avverti la consistenza, ne senti i suoni, ne percepisci i cambiamenti e i cedimenti e, poco alla volta, in silenzio, il deserto ti avvolge e ti ingloba. Sono una vera ragazza di città, ma sto iniziando a chiedermi perché non mi sia concentrata di più sulle cose semplici della vita, perché non abbia avuto maggior cura di me stessa, perché io sia poco in forma, perché io beva tanto. 

Il secondo giorno

Dopo una notte, una soltanto, si ha già l’impressione di essere lontanissimi dalla civiltà. E, per taluni aspetti, lo siamo. Questa non è una terra molto popolata. Tra noi e il punto d’arrivo di questo itinerario, nei pressi della città di Aqaba sul Mar Rosso, non ci sono città, né cittadine, né accampamenti. Al buio, le uniche luci che vediamo sono quelle del fuoco di bivacco o delle tende nelle quali trascorriamo la notte. 

Ci sentiamo distanti da tutto, il mondo ci sembra lontano. Questo itinerario è stato inaugurato da poco e non ci sono sentieri veri e propri da seguire. Camminiamo sul ciglio di falesie, guidati dai beduini, lungo quella che loro chiamano la pista di Lawrence d’Arabia. 

All’improvviso, mi trovo circondata da un panorama insolito, mai visto in vita mia. Sembra quasi un paesaggio alieno, formato da dirupi che proseguono all’infinito. È un panorama sublime, a uno stesso tempo vivificante e terrorizzante. Qui l’ampio paesaggio, l’irregolarità delle rocce, la mancanza di una pista e la sensazione di uno spazio che si dilata all’infinito mi ricordano la mia condizione di essere mortale, la mia piccolezza rispetto a ogni cosa. 

Facciamo una sosta, i beduini ci preparano il tè e in questa natura selvaggia c’è solidarietà, la sensazione che stiano condividendo con te un’esperienza intima e speciale, quella del deserto, un deserto di cui siamo parte ma che non potremo dominare mai. 

Beviamo il tè e ci rimettiamo in cammino. Si va avanti, sempre avanti, e continui ad aspettarti che dovrà pur esserci una fine, ma non è così. Poi, all’improvviso, ti trovi a camminare tra dune di sabbia, la terra cambia, i colori sono già cambiati. Compaiono tonalità rosa e gialle, calde e fredde a uno stesso tempo. Inaspettata, ecco un po’ di vegetazione, un ramo, un albero, un ciuffo d’erba, e ti rendi conto di quanto qui la vita sia fragile. E tu ne sei parte. 

È una delle prime volte che si segue questo itinerario e ti sembra quasi che nessuno l’abbia fatto prima di te. Non è così facile vivere un’esperienza di questo tipo. È un’esperienza vivendo la quale il tentativo di sentirsi liberi, di diventare avventurieri o esploratori per due settimane in un anno, va oltre la consuetudine. 

E proseguiamo ancora. Lo scenario non cambia perché l’escursione diventa una meditazione su me stessa. Molte cose che credo avere a cuore svaniscono. Infine, affioriamo su questo altopiano dove si ha l’impressione di trovarsi nel nulla. Petra sembra lontana, lontanissima nel tempo. Mi sento inselvatichita. 

Wadi Rum 

Ci avviciniamo alla fine dell’itinerario e subentra una sorta di decompressione, di delusione per tutto quanto sta per giungere a conclusione, per il mio Io selvaggio che tornerà alla vita delle agiatezze urbane londinesi. Entriamo nel Wadi Rum, e dovrebbe essere una giornata spettacolare in questa valle di paesaggi panoramici e di montagne maestose, e invece, per una volta, è nuvolo. C’è tempesta. 

La notte prima abbiamo cercato di accamparci, ma pioveva talmente forte che abbiamo alloggiato in un albergo molto grazioso in mezzo al nulla. Rispetto alla tenda, è sembrato lussuoso. Era simile a un fortino. Abbiamo finito con il visitare il Wadi Rum in macchina, e con il nostro sguardo abbiamo abbracciato le ampie distese, le chiazze di luce affioranti tra le nuvole, raggi di sole che colpivano i rilievi e le formazioni rocciose della vallata con una precisione quasi biblica. 

Il giorno volge al termine, la conclusione dell’escursione e il panorama mi rammentano la Bolivia. Siamo alla fine, siamo a Wadi Rum, raggiunta passando attraverso paesaggi che ricordano le pianure boliviane. 

Camminare lungo la pista giordana è stato come andare oltre l’esperienza turistica universale ed entrare nella natura selvaggia. Quando si lascia la pista è un po’ come tornare a un mondo che hai dimenticato e preferiresti lasciarti alle spalle. Ci inoltriamo a piedi in questo vecchio paese dell’esercito e all’improvviso ci accorgiamo della presenza nell’area di molte forze dell’ordine. Ci sono cammelli, tanti esseri umani, e sembra di essere tornati alla realtà, nel mondo degli uomini. Non vedo l’ora di farmi un bagno caldo, di bere un gin and tonic, e di dormire in un letto morbido. Tornerò a essere una ragazza di città. Al tempo stesso, però, dentro di me c’è una sensazione che non sparirà del tutto: è una percezione irrefrenabile, il richiamo della natura selvaggia, la vista delle stelle, i lampi di sole. E mi chiedo se, in fin dei conti, io sia davvero una ragazza di città.                               

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