New York City

Testo di Sam Reiss
Fotografie di Adrianna Glaviano 

C’è un grande emporio russo di alimentari all’estremità di Brighton Beach, in fondo a Brooklyn, fuori dalla fermata della linea Q della metropolitana, vicino al mare. Il negozio è situato in una vecchia sala cinematografica risalente più o meno agli anni Trenta, una di quelle con le scalinate di sei metri che si possono vedere all’anteprima di un film o nella scena di un tipico spettacolo di Broadway. In quell’emporio non ci sono luci, ma fuori sono allineate varie file di sedie e, quando ci siamo andati a dicembre, ognuna di esse era occupata: l’intera parete era affollata di russi sui cinquanta-sessanta anni, seduti a osservare l’andirivieni dei pedoni in una giornata con una temperatura inferiore ai dieci gradi. A Brighton Beach il cinema-negozio di alimentari è soltanto uno dei tanti. Nel quartiere ve ne sono in abbondanza. In quello si trovano per metà alimenti reperibili in una qualsiasi catena di grandi supermercati americani e per metà specialità russe, mescolate le une agli altri. Puoi trovare il caviale accanto alle bibite Monster Energy, le mele vicino all’aneto, lo yogurt greco a fianco di quelli con scritte in cirillico. È più grande e appariscente della maggior parte degli altri negozi di alimentari di Brighton e di altri quartieri di Brooklyn e del Queens, quelli che compaiono in questa serie di foto. 

Da sempre esistono due New York, ma la linea di confine tra le due dipende dalla persona alla quale lo chiedi e a che ora del giorno lo fai. Chi decide in che modo dividere in due la città? Vi sono alcuni modi alquanto ovvi. Separare Manhattan da tutto il resto resta il modo più valido, anche se meno utile negli ultimi vent’anni. Dividere la città tra Brooklyn e qualsiasi altra zona è un modo moderno di delineare un confine, anche se meno utile della divisione sopra menzionata. Non tiene conto di molte cose, e Brooklyn è grande, molto grande. Una terza divisione è quella tra l’area dei pendolari metropolitani e la zona ancora oltre, la “one-transfer zone” dove soltanto un autobus o un tratto di metropolitana ti consente di raggiungere un ufficio o un posto di lavoro a Manhattan o a Downtown Brooklyn, dove lavorano in tanti. Vi sono anche modi non-geografici per dividere la città: originari di qui e non, gente appena arrivata in città e non, persone stabilitesi qui per sempre e persone di passaggio. Quanto più ho trascorso tempo in quei quartieri, tanto meno sono sicuro che tali distinzioni esistano sul serio.

Adrianna, che ha scattato queste fotografie, è cresciuta a Manhattan e a Brooklyn, e ha trascorso gli ultimi dieci anni vivendo perlopiù all’estero, soprattutto in Italia, e poi in Francia e in Grecia. Astoria – il quartiere del Queens da cui provengono molte di queste fotografie – è stata la sua prima tappa naturale in questo progetto. “La Grecia mi ha sempre interessato molto” dice. “Dovendomi trasferire a New York, dopo aver vissuto in altre città per dieci anni, ho avuto la sensazione che quartieri come questi esistessero a questo livello soltanto a New York. Astoria era simile alla Grecia, piena di supermercati nei quali puoi trovare tutto quello che desideri, in giro senti parlare greco e ogni cartello stradale è scritto in greco. Quando cresci a New York non te ne accorgi, perché è normale, ma quando ritorni scopri quanto sia incredibile che esista una cosa di questa portata”.

Con i suoi 8,5 milioni di abitanti, e altri 2,5 milioni circa sia a Brooklyn sia nel Queens, New York ovviamente è enorme. Le comunità crescono e si espandono in quartieri diversi e si trasformano con il passare del tempo. Brighton Beach è la comunità russa più grande d’America, ma molti russi vivono anche a Gravesend, Sheepshead Bay, e Midwood. A Sunset Park, non molto distante, c’è la grande Chinatown di Brooklyn, ma la comunità cinese si estende fino a Dyker Heights, Bensonhurst e Bath Beach. (Ci sono tre Chinatown a Brooklyn, tre nel Queens e una a Manhattan.) In passato abitata da una grande comunità LGBTQ – molti artisti vi si trasferirono dalla zona dei teatri – e da una folta popolazione ebraica, negli anni Sessanta Jackson Heights è cambiata per accogliere un numero sempre più grande di immigrati latinoamericani e sudamericani e di esponenti del ceto medio, molti dei quali con famiglia. In questo quartiere una lingua convive accanto a un’altra. Proprio accanto, Woodside, nel Queens, un tempo era perlopiù popolato da irlandesi, ma da allora è diventato un quartiere più cinese. Da Donovan, che occupa un intero isolato della città, si possono gustare ottimi hamburger. Passeggiare lungo Roosevelt Boulevard significa vivere un bombardamento sensoriale. Le insegne cambiano da inglese a spagnolo, da urdu a hindi a russo talvolta in un unico isolato, in qualche altro caso sono l’una a fianco all’altra. Tutti i negozi sembrano piccoli e, chissà perché, le catene sembrano piccole anch’esse. 

L’autunno scorso, quando Adrianna e io siamo andati in giro un po’ ovunque, siamo stati cacciati dai negozi di generi alimentari di Brighton e accolti in bar e social club, abbiamo condiviso un pasto economico sedendo accanto a monaci tibetani e abbiamo giocato, o quanto meno cercato di giocare, a ping-pong contro alcuni ebrei chassidici. Viviamo entrambi a New York in permanenza in quartieri diversi da quelli che abbiamo visitato, quindi in un certo senso abbiamo viaggiato, ma senza spostarci di molto. Il nostro è stato un unico viaggio, ma differente. Molte nostre interazioni sono state puramente estetiche, come passeggiare per strade non poi tanto dissimili da quelle nelle quali abitiamo, fermarci all’improvviso davanti a un edificio o a un’insegna o ad alcuni outfit. Dato che questa è New York, quasi nessuno ha fatto caso a noi. Quanto è diversa l’altra New York? Non moltissimo: le catene dei negozi e gli edifici e il clima sono gli stessi, come anche i treni. Le insegne appaiono completamente diverse, hanno scritte risalenti a 10 o 30 anni fa e usano un linguaggio molto più diretto della maggior parte di quelli usati da noi: Panther Personal Trainer, Wealthy Laundromat, Mega Dream bodega. “Sono io a scoprire dettagli casuali in un quartiere, a scoprirvi cose che si vedono in tutto il mondo” dice Adrianna, “ma diverse”. Un mondo capovolto e differente, che sbilancia i più giovani e i più vecchi – anche se forse siamo noi a essere sbilanciati. 

Nel Queens ci sono molte cose introvabili in altre zone della città. C’è il tè al burro da Lhasa Fast Food sulla 74esima strada, tra la 37esima Avenue e la 37esima strada (portatevi dietro una piantina): lo potete trovare sul retro di un negozio di cellulari in un isolato pieno di negozi di cellulari a Jackson Heights. Questo tè di solito lo bevono gli sherpa durante le loro ascese in montagna e restano sazi tutta la mattina. Accanto c’è Sona Chaandi, una gioielleria in un intero isolato di gioiellerie perlopiù indiane. Guardarle toglie quasi il respiro. Non lontano da Lhasa, sul retro di un negozio che vende cellulari, c’è un macellaio. A pochi passi da lì, a Jackson Heights, si trova Zapateria Mexico, sulla Roosevelt, un emporio occidentale di stivali in pelle di serpente, camicie western decoratissime, grossi cinturoni e Wrangler (modello cowboy) e dietro il bancone c’è una intera parete di cinture, grande quanto la maggior parte degli altri negozi altrove. Questo esercizio è proprio accanto a Tacos Velox, che probabilmente è il più buono di tutto il quartiere. 

Quando scendete alla fermata della metropolitana di Brighton Beach, nell’aria sentite subito profumo di aneto e, appena svoltate l’angolo, trovate un tempio Hare Krishna tra la Brighton Beach Avenue e la Brighton 4, credo, e lì accanto una bancarella che per un paio di dollari vi venderà tortini di carne e formaggio e tortine dolci. Poi incontrerete il negozio di alimentari nell’ex sala cinematografica e poi un altro, Brighton Bazar, all’angolo tra Brighton Beach e Coney Island Avenues, che esibisce un numero ancora maggiore di scritte in cirillico, e accanto al tempio c’è Volna, proprio sull’acqua, dove potrete gustare il migliore cocktail di gamberetti di tutta New York ai tavolini di un dehors protetto da una paratia di plastica, sempre che siate russi o abbiate una tempra da nordici. Lì fa sempre freddo, tranne che in primavera o in estate. C’è l’Oktoberfest lungo la strada per Volna, e vi trovate birra alla spina da asporto in una bottiglietta di plastica trasparente, mentre nel vicino spaccio di liquori è disponibile una confezione di vodka in bottiglie a forma di kalashnikov. Sono entrambe bevibili, ma soltanto la vodka può trasformarsi in un regalo. Risalendo in macchina Coney Island Avenue, incontrerete Tsar Caviar, un negozio all’altezza del suo nome che offre una selezione considerevole di uova di pesce. In fondo all’isolato, più vicino a Kensington, c’è una grande sala per giocare a ping-pong, il Brooklyn Table Tennis Club. Si trova in fondo a un parcheggio sotterraneo, e per raggiungerlo si deve seguire una passatoia di moquette tra le auto. Il locale è sempre pieno e alle pareti sono appese foto di tigri. Altre tigri compaiono in bagno. 

Il pericolo, quando si visita New York, è quello di rimanere sempre negli stessi quartieri raccomandati – gli stessi bar, gli stessi posti per turisti, gli stessi piccoli ristoranti emergenti e gli stessi luoghi imperdibili in viaggio – senza riuscire a vedere la città vera e propria. Certo, i posti più raccomandati e vicini alla città fanno parte di quelli che vanno visitati, sono divertenti e di solito abbastanza buoni. Andarci vale sicuramente la pena. Non c’è niente di meglio che imbattersi in qualcuno che si conosce in un bar dall’altra parte del mondo. Questo genere di cose rende il pianeta un posto più piccolo, il che è bello e rassicurante. Oltretutto, in fin dei conti si tratta della vostra vacanza, e dovreste fare quello che vi pare.

In ogni caso, cambiando itinerario, recandosi in un quartiere nel quale di norma non si metterebbe mai piede ed esplorando c’è molto da scoprire. Nell’invadere un quartiere, nel diventare intrusi, nel colonizzarlo c’è un azzardo. Non sono ancora sicuro di avere capito qual è il modo giusto per farlo. Comunque, non si tratta di una missione altruista: si tratta di rispetto. Questi posti sono divertenti da visitare e sono New York tanto quanto lo sono la Statua della Libertà, il Rockfeller Center o la steakhouse Peter Luger’s. Questo è il punto: in verità, una differenza non c’è. 

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