Venezia e la cucina di Barena

Testo di Carlo Spinelli
Fotografie di Giorgio De Vecchi
Foraging nella laguna veneta con lo chef Daniele Zennaro e il botanico Gabriele Bisetto Trevisin

È facile narrar novelle su Venezia. Ma qui ci vuole di più: ci vogliono magia, spettri, qualche sospiro di natura selvaggia intorno alla città, dove c’è anche il profumo di erbe selvatiche a ogni protuberanza terracquea e la fantasia di cuochi moderni. Si inizia per esempio dalla morfologia di Venezia: ricordando la disciplina del feng shui, per cui ogni abitazione va costruita in modo da recepire le onde benefiche del “grande drago” che dorme nel sottosuolo, ed esaminando una qualunque cartina della città, ci si può stupire come il Canal Grande si snodi proprio come un serpente, o forse un dragone, tagliando in due parti la città. Oppure arriva la pelle d’oca pensando al fantasma dell’eretico Giordano Bruno, che si palesa ogni anno, come un orologio atomico, il 17 ottobre a Ca’ Mocenigo. 

A spettri Venezia non è mai stata seconda a nessuno, neanche a Edimburgo: lo spirito più famoso è quello del pittore Morto Da Feltre, che nonostante il nome gli ricordi continuamente il suo stato psico-fisico, perdura ancora adesso nell’aggirarsi tra le stanze del Casino degli Spiriti, dopo averle frequentate secoli prima con Giorgione, Tiziano e Sansovino. La maggior parte dei veneziani è convinta di convivere da sempre con i fantasmi. Sono tanti a sostenere che i canali della cittadina galleggiante siano percorsi da intangibili presenze, buone o cattive che siano, come le sette streghe che si muovono nella laguna su di una grande gondola mortuaria. E allora che ci si aggrappi a una gondola, e si scappi da questa magica urbe per raggiungere la laguna che l’abbraccia da secoli. 

Il fascino per questo microclima sembra non deteriorarsi mai, come d’altronde il pan biscotto veneziano, la cui caratteristica più particolare che lo rendeva prezioso fu spiegata anche da Giuseppe Tassini, storico veneziano del XIX secolo: “Aveva la proprietà, per singolare magistero, adesso ignoto, di non subire mai l’attacco del tarlo”. Su questa gondola magica, guidata dallo chef Daniele Zennaro come un Caronte con la toque blanche, si lascia alle spalle la città, ci si inoltra a nord nella laguna di Lio Piccolo, di Sant’Erasmo Treporti e le valli, luoghi dove la barena si esalta come un daltonico nel magazzino del Pantone. Le barene sono terreni di forma piatta e schiacciata, tipici appunto delle lagune, e periodicamente sommersi dalle maree. Qui lo chef mostra il paesaggio coi suoi occhi azzurri, tra il ceruleo e il blu cadetto, ed elenca le erbe spontanee che lui stesso raccoglie tutto l’anno: “C’è l’erba stellaria, detta anche ‘centocchio o minutina’, che ha un sapore simile al carciofo e al cardo; dai fiori di magnolia coi suoi petali bianchi creo poi frittelle e le profumo alla vaniglia, mentre del finocchio di mare, o spaccasassi, in primavera uso sia le foglie più giovani crude sia i fiori con cui ci costruisco intorno dei favolosi bignè. Con il finocchio di mare e la cipolla rossa accontento pure i vegani, perché sono gli ingredienti di un ‘saor vegetale’ davvero unico”. In laguna si sente la salsedine nell’aria, nelle narici lo iodio, il vento che sussurra i consigli della divinità italica Marica e di tutte le altre ninfe delle paludi. “Mi piace anche creare un’insalata con uova di quaglia, mandorle bianche e l’erba silene, che per i suoi ciuffetti è detta anche ‘schiopettini o carletti’; il nome deriva da Sileno, il maestro di Bacco, e per questo mi eccito. Poi uso delle piante carnose e succose, che vivono veramente come esseri mitologici nel limbo tra acqua e terra: la Lunularia cruciata, la Limbarda crithmoides, i cui germogli giovani sono balsamici e i fiori a foglia sottile sono d’un colore acceso, tra il giallo scuolabus e quello ‘chartreuse’; e infine la salmastra salicornia, pianta a forma di asparago alta anche un metro, che in base alla zona di raccolta cambia tonalità di salinità e amarezza. In bocca la salicornia crèpita e scricchiola, friziona tra i denti durante la masticazione, è sapida e in bocca è un cocktail di alghe e molluschi. La barena è uno spettacolo continuo!”. 

Da questi verdi ingredienti selvatici della laguna lo chef Daniele Zennaro ha estratto per il suo menu al Baglioni Hotel di Venezia pure un piatto a biosfera zero: un germano reale selvatico cacciato in valle e arrostito con le sue interiora, servito poi con una focaccia di erbe di barena essiccate durante l’estate, olio di semi di zucca e olio di semi di canapa. 
Dalla laguna silente, ma estremamente viva, si può ottenere anche un miele meraviglioso, ispirato dalla pianta Fiorella di Barena e dai fiorellini del carciofo violetto.

Tutte queste erbe e piante libere fanno quindi dimenticare l’atmosfera chiusa, affollata e labirintica del centro di Venezia, aprono la percezione allo spazio della laguna: la selvatichezza (naturale) della barena versus l’artificialità (umana) dei palazzi storici. S’immaginano allora queste piante come una droga d’evasione dalla baraonda della città, come il santonico, o Artemisia maritima, che i “veci” usano da sempre per aromatizzare le grappe bianche fatte con il vino prodotto negli orti e dar vita a una grappa verde (è sempre assenzio!) molto aromatica e digestiva. Ogni giorno, e da secoli, i veneziani si crogiolano nei sacri atti di alienazione quotidiana, bevendo cioccolato o caffè come raccontava Carlo Goldoni nelle sue opere. La magia della laguna, delle sue erbe selvatiche di barena e di una Venezia per la prima volta vista sotto i riflettori del silenzio.

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