Argentina con Marcelo Burlon

Testo di Paola Corini
Fotografie di Bratislav Tasic

I suoi confini per lo più si appoggiano su elementi naturali: a nord e a nordest i fiumi, a ovest le Ande, a est ancora il fiume e l’Atlantico. Abbiamo toccato i bordi del paese, che solleticano gli stati confinanti: la foresta subtropicale di Misiones, provincia acquifera del nordest che s’incunea tra Paraguay e Brasile, il nordovest andino con il popolo dai visi scottati dall’altitudine e la luce che cambia le strade, il principio del sud, alla frontiera sorvegliata con il Cile dove la Patagonia se ne sta addosso alla bella Precordigliera. Più di tutto abbiamo registrato paesaggi sonori: le cascate, gli uccelli, i venti sono stati i protagonisti del viaggio. E gli abbracci, di chi ci aspettava prima che arrivassimo, perché abbiamo mamme anziane che stanno disimparando per la seconda volta l’italiano in Argentina e tassisti che risparmiano euro a Buenos Aires per la prossima vacanza italiana. Abbiamo respirato somiglianze e modi meticci, di chi si presenta e si definisce elencando le razze europee che scorrono nel proprio sangue e i viaggi che li hanno portati fino a qui.

L’Argentina è la nazione più europeizzata dell’America Latina. I registri di entrata e uscita degli immigranti da fine Ottocento compilano serie continue di sbarchi. Distinguono gli arrivi secondo due grandi categorie, ultramar e via fluvial. I genitori di Marcelo sono arrivati bambini alla fine degli anni Cinquanta, quando praticamente si estingueva l’ultima ondata emigratoria italiana del secondo dopoguerra in Argentina. Fine anni Settanta del secolo scorso: le foreste vicino alle Ande sono il televisore di Marcelo-bambino, El Bolsón la comunità hippie più riuscita della Patagonia. Per vedere l’Italia Marcelo compirà quattordici anni. Nell’anima della maggior parte degli argentinos esiste per natura una bonarietà e un gusto per la vita. In Marcelo è una danza, dalla veglia alla notte, una danza che ti accompagna nel sonno, è un’esaltazione corale dello stare al mondo. E la Patagonia è la sua festa, entrarci insieme a lui la maggiore fiesta che immaginiate. Questo è l’ospedale dove sono nato, in quella torre ho iniziato ad amare. Nelle piccole fattorie di frutti di bosco, le chacras di El Bolsón, con lui si va direttamente dal fattore, che ti riempie le mani di ciliegie rosse e dure. Lui conosce le anziane streghe bianche della valle, la famiglia che vive senza elettricità al di là del lago e con una barchetta gialla raggiunge la civiltà e carica gli amici in visita. Un’estate del Ventunesimo secolo: mamma Olga frigge milanesas per tutti, le cotolette sottili sudamericane. I cani non ringhiano, i cani ci corrono incontro, Marcelo è tornato a El Bolsón. 

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