Dovevamo incontrare le ultime Ama della penisola, donne pescatrici subacquee in apnea, e avevamo il timore di star inseguendo una volontà nostalgica e in parte egoistica di assistere a qualcosa che non esisteva più davvero. Una tradizione femminile che si può dire rimasta immutata nelle tecniche e nei costumi da duemila anni fa al 1960: un perizoma di corda legato alla barca da pesca del marito, da tirare per chiedere di risalire per l’aria, un fazzoletto di cotone bianco annodato alla testa, un uncino, un secchio di legno, una rete, una maschera senza boccaglio. Un passato profondo, e sensuale agli occhi del turista.
Da principio non avevamo capito perché ci avessero dato appuntamento alla stazione dei treni di Toba. Per una volta arrivammo prima dei nostri accompagnatori giapponesi e quella sosta conobbe qualcosa di simile all’entusiasmo dei bambini per l’Autogrill. C’era un piccolo negozio di taiyaki proprio alla base della stazione e ognuno prese la sua cialda dolce a forma di grosso pesce ripiena di crema alla vaniglia. Ci ricordammo qui a Toba che i giapponesi sono un popolo di mare e il Giappone un’isola del Pacifico: il profumo di acqua salata insieme alla luce più intensa del sole della costa erano entrati dal finestrino.
La corrente non era fredda, si sarebbe potuto indossare anche la mezza muta, invece di quella a gambe lunghe. La signora Misako aveva settant’anni e doveva essere stata una donna giovane bellissima. Le efelidi regolari su una pelle immacolata senza cipria, una suora laica con i capelli nascosti nella cuffia di cotone leggero bianco, d’estate come d’inverno. Mi disse che i cetrioli di mare avrebbero fatto bene alla mia pelle.
Le piaceva accompagnarsi alle donne più giovani e la signora Terumi aveva quasi dieci anni in meno. Oggi proveranno a prendere gli awabi per noi, i costosi abaloni, che vengono ancora pagati bene al mercato. Anagraficamente parlando Misako e Terumi possono essere le figlie di quelle belle ragazze Ama dell’isola di Hèkura, sempre sorridenti nelle foto di Fosco Maraini. Non abbiamo capito se hanno figlie femmine, ma chi ne ha avute non ha insegnato loro “il mestiere”: sanno immergersi come le madri, forse solo per gioco, ma oggi hanno una possibilità migliore di impiego, magari in qualche ufficio in città, il mare è faticoso.
Tutti scrivono del fischio regolare di queste donne, quando risalgono in superficie dall’immersione. Io ricordo soprattutto il sospiro, che emettono ancora prima, appena ricevono l’aria, un gemito di donna contenuto e pieno di giovinezza.