Siamo tutti parte dell’universo

Testi di Paola Corini 
Fotografie di Luca De Santis

Mi piacerebbe scrivere qualcosa per voi, ma ultimamente il mio tempo è impiegato a incontrare fantasmi. Ci congeda così il maestro Udaka Michishige. Era arrivato in automobile con la sua scatola di maschere avvolte ognuna in una custodia di seta. La prima che ci aveva mostrato era stata Hakushiki-jo, un tranquillo uomo anziano, che si usa solo nel rituale Shinto dell’Okina. La maschera stessa è considerata divina. 

Le sopracciglia due pompon in pelo di coniglio, la lunga barba in crine di cavallo. Ci aveva offerto tè e una latta di dolcetti al dattero, dono di amici in visita da Singapore. Ci aveva raccomandato di parlare soprattutto di questo: che siamo tutti membri dell’universo, ogni parte determina l’altra, come il corpo risente della salute di ogni singolo organo. Parlava come un amabile padre sulla soglia dei settant’anni. Sensei Udaka è uno dei più grandi performer e insieme artigiano di maschere di una delle forme più antiche di teatro tradizionale giapponese, il teatro Nō. In Giappone un sensei è, nelle sue forme più compiute, un “maestro di vita”.

Ernst Francisco Fennollosa si laureò in filosofia alla Harvard University nel 1874, nel 1878 si trasferì in Giappone, dove insegnò e divenne consigliere artistico del governo. Si interessò subito al teatro Nō: c’era una forma aristocratica di teatro, raffinata e allusiva, che si svolgeva sui palchi allora e oggi esattamente come nel Giappone del quattordicesimo secolo. A poco bastavano i testi e le liriche, che non trascrivevano movimenti e immobilità del corpo, vibrazioni della voce a contatto con la maschera. Gli attori stessi producevano il loro albero genealogico per tramandare di padre in figlio un’arte elaborata. W.B. Yeats e Ezra Pound se ne servirono ampiamente per istruire la loro immaginazione drammaturgica. Le rappresentazioni migliori si svolgevano nei teatri all’aperto, allora il canto e la musica si univano al cielo, gli uccelli e il vento entravano con i loro suoni nello spettacolo.

Il palco del teatro Nō è un disegno rigoroso. Aperto su tre lati, il lungo ponte che dalla sinistra entra sulla scena principale. Tre alberi di pino scandiscono il ponte, primo pino, secondo pino, terzo pino, in quel lungo ingresso che può sembrare accessorio avviene quella esperienza trasformativa che è propria del teatro: lì un uomo diventa fantasma di un altro uomo, il corpo fisico spinge lungo il corridoio una pressione che ha densità di materia, – non è vento, ma una certa forza – e la persona può dirsi diversa e compiuta solo quando raggiunge il palcoscenico finale con lo sfondo di un pino verde dipinto su legno. Sta per così dire dimenticando se stesso e entrando in un altro “sé”. Solitudine, preoccupazione, fardello, cecità, rinascita, una vita totalmente nuova in un certo senso: questa è la successione di sentimenti dal momento in cui si sollevano le tende del teatro. Ora Udaka-sensei è in grado di oltrepassare questo buio alla velocità della luce, di accelerare la sua concentrazione e la sua mente, ma il corpo continua ad aver bisogno di quella camminata silenziosa e terribile. Il performer deve allenare il suo corpo fisico. L’aura del performer quando corpo e mente riescono a camminare sullo stesso livello è molto bella. Quando si rompe questo equilibrio, c’è una perdita, si dimenticano i dialoghi, non si riescono più a visualizzare. 

L’80% delle storie del teatro Nō sono raccontate dalla prospettiva di coloro che sono già morti o di spiriti e gli spiriti speculano sulle persone che stanno morendo, per esempio un monaco è in punto di morte ed è una persona istruita ma il suo spirito non è all’altezza, oppure un membro della classe reale muore e ha soldi e potere ma non ha l’energia e poi magari un povero muore e con lui si può comunicare e allora inizia un dialogo tra il morto e il vivo. 

Per trent’anni Udaka-sensei ha studiato buddismo esoterico e è giunto alla conclusione che della religione, di Buddha, Cristo o Allah, è interessante osservare la direzione, lo scopo che avevano, e a noi spetta mettere la stessa forza per andare in una direzione – che montagna vedevano? che scenario vedevano? – ma non essere come loro. 

“Nella prospettiva di andare oltre la vita umana, se si osserva la natura, come le correnti si muovono, perché i salmoni risalgono per deporre le uova dove sono nati ad esempio, l’osservazione della natura, da una punto di vista non del singolo, ma della Terra, ci indica che ci sono così tante evidenze che il pensiero e la mente sono sì stimolati da campi di elettricità. Ci sono diversi termini per questo, come il chakra, l’attaccamento alla nascita o al paradiso. Ma queste energie elettriche possono andare oltre il corpo fisico e connetterci a altri strati della Terra, la pelle esterna tra lo spazio e la Terra. Questo involucro protegge la Terra dagli eventi esterni, come il magnetismo. Se si parla di un animale allora è il suo guscio. Oggi mi sembra che il nostro pensiero, il pensiero della maggior parte di noi umani, sia orientato in una sola direzione e le nostre vibrazioni e energie non stanno proteggendo la Terra come facevano una volta, questo pensiero armonioso si è perso”.

Altre Storie Da

Giappone