Mente Selvatica

Conversazione tra Gianluigi Ricuperati e Shinichi Nakazawa 
Fotografie di Delfino Sisto Legnani

“Ciò che è ‘selvatico’ è delicato, complesso ed elegante. La mente selvatica non ha niente di rozzo, grezzo o violento. Non è pretenziosa né alla moda, eppure è infinitamente raffinata. In una parola, questa selvaticità indomita è nobile”, afferma il curatore della mostra. “Tale eleganza raffinata è prerogativa di ogni forma di vita. Guardate gli animali allo stato brado: grazie a strutture fisiche perfette e movimenti agili, persino quando stanno dando la caccia alle prede attaccano in modo aggraziato”, prosegue. “Ecco, la stessa nobile selvaticità è presente anche nella mente e nel cervello umani.

O meglio, è stata proprio questa selvaticità a dar vita sia alla mente che al cervello. Una mente neonata, selvatica e indomita attraversa la foresta dei neuroni con le movenze di una tigre. Le percezioni e il pensiero umani si interconnettono attivamente e in modo multidimensionale. Tuttavia, con la rivoluzione avvenuta nell’agricoltura, la selvaticità indomita ha perso la propria libertà. Il nostro giudizio si è sottomesso ai dettami degli standard estetici e il pensiero alla razionalità. I canoni della civiltà ha finito per sostituirsi alle bellezza selvatica e il pensiero indomito si è assoggettato alla ‘mente addomesticata’. È la logica degli animali domestici. Le facoltà mentali e i pensieri dello stato di natura sono stati relegati ai margini. Oggi ci rendiamo conto che dobbiamo recuperare le facoltà e i pensieri indomiti per riprenderne possesso. Possiamo scoprire nuovi modi di farlo. Basta essere dotati di un certo ‘tatto’ e li troveremo. Però bisogna tenere presente che ‘il selvatico’ non è alla moda, ma è elegante.”

Queste parole hanno costituito la nostra chiave di lettura della mostra Wild: Untamed Mind, che si è tenuta a Tokyo presso il 21_21 Design Sight nell’autunno scorso. Il curatore della mostra è Shinichi Nakazawa, filosofo e antropologo noto per le sue ricerche interdisciplinari sul campo relative a vari luoghi e periodi. Anche nell’età contemporanea che tende alla logica e alla ragione, le percezioni della “mente selvatica” non sono del tutto perdute.

Gianluigi Ricuperati: Secondo lei quali sono i modi corretti per identificare le “menti selvatiche” del pianeta? Ce ne potrebbe elencare tre? Uno molto noto, uno tramontato e uno totalmente sconosciuto che però varrebbe la pena scoprire.

Shinichi Nakazawa: Un caso molto noto è l’anticonformismo o l’eccentricità. Essere anticonformisti significa essere svincolati dal senso comune, e questo ovviamente stimola l’insorgere, in una persona, della “mente selvatica”. Credo che un ottimo strumento per favorire questa trasgressione sia lo Zen. Uno dei tanti possibili esempi di modi ormai tramontati è la “saggezza” che si riscontra nelle religioni antiche. Tuttavia, concetti del genere possono essere presenti ancora oggi nelle varie religioni. Un modo totalmente sconosciuto che però vale la pena scoprire è, in terzo luogo, quell’operazione intellettuale che gli antichi greci chiamavano “lemma” contrapponendola al “logos”.

GR: Sono convinto che esista una sorta di “codice interdisciplinare”, uno strumento che funge da ponte tra le diverse discipline e mentalità. Il punto è che non si tratta di uno strumento, ma di un ethos, un codice di comportamento. È d’accordo?

SN: Gli strumenti sono l’hardware. Credo che sia più importante il collegamento software tra discipline. Certo, questi legami si possono anche definire “ethos”. Per quanto riguarda l’hardware, al momento abbiamo solamente i computer, ma è sempre possibile inventare nuovi software, almeno fino a un certo punto. L’“ethos” sfrutta la conoscenza implicita, perciò alcuni tipi di ethos sono specifici di particolari culture. È una questione che non dovremmo ignorare.

GR: Fino a che punto il lavoro che ha svolto come curatore della mostra ha cambiato il suo approccio al tema della “Mente selvatica”? Ha scoperto aspetti sconosciuti? Ha individuato interrogativi nuovi?

SN: Ho scoperto che il team degli organizzatori, i creativi che partecipavano al progetto e i visitatori condividevano tutti la medesima consapevolezza delle tematiche affrontate.

GR: C’è un settore particolare in cui oggi le menti selvatiche sono particolarmente stimolate? Forse la tecnologia?

SN: Quello delle arti è un settore in cui un ulteriore coinvolgimento delle menti selvatiche potrebbe apparire superfluo – voglio dire, tanto per cominciare diamo tutti per scontato che la creazione artistica si basi su un’idea. Ma prendiamo ad esempio il mondo degli affari: viene considerato razionale. Eppure, in realtà, la mente selvatica può prendere decisioni significative e determinanti; è fondamentale anche nella scienza e nella tecnologia. Detto questo, la scienza è un sistema che tenta di escludere le menti selvatiche, perciò per coinvolgerle in questo campo bisogna impiegare metodi estremamente complicati. Eppure sono convinto che molti scienziati di punta si rendano pienamente conto di quanto sia cruciale la mente selvatica, persino nel settore, che so, della fisica quantistica. Un altro esempio è il design, dove molto spesso un buon risultato nasce da un misto di senso pratico e anticonformismo. La mente selvatica è essenziale per tutti noi.

GR: Qual è la statura morale della mente selvatica? Esiste un limite etico alla curiosità?

SN: Nel pensiero europeo occidentale vi è un senso di “statura morale” che pone al centro il sé, l’“io”. Ma la mente selvatica presuppone l’assenza di questo “io”, quindi dobbiamo sviluppare una diversa concezione di statura morale. Ancora non ce ne rendiamo conto, ma è una cosa sulla quale dobbiamo iniziare a riflettere. L’assenza di un “io” implica che questo “io” diventi tutto il resto. Comprendendo che “io sono tutto il resto”, nasce un limite etico. Se sostituiamo i concetti di uccidere, fare del male ed esercitare violenza, nasceranno idee diverse, che a loro volta ci porranno dei limiti. Ad esempio, se riusciremo a contenere la distruzione della natura, lo dovremo alla mente selvatica, non a un divieto contro le devastazioni causate dall’uomo alla natura. Perciò, partendo dal presupposto che non esista più un “io (sé)”, emergerà spontaneamente un diverso codice etico.

GR: Sarebbe d’accordo con l’idea di fondare un’Accademia delle menti selvatiche? Qual è la sua principale preoccupazione riguardo all’istruzione, nel presente e nel futuro?

SN: Sono assolutamente d’accordo. Credo che ciò di cui la gente ha bisogno sia proprio un’Accademia delle menti selvatiche. Dovremmo impegnarci soprattutto nel lavoro sul campo.

GR: Potrebbe elencare i cinque libri che hanno segnato il suo percorso intellettuale, nell’ordine in cui li ha scoperti (da bambino, da adolescente, da adulto ecc.)

SN: Da bambino:Il Viaggio in Occidente di Wu Cheng’en. Da adolescente: il Buddhismo Mahāyāna. Altri libri: Le opere di Kumagusu Minagata, Claude Lévi-Strauss, Longchen Rabjampa e Tommaso d’Aquino.

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