Guardiani della foresta

Testo di Jacopo Ottaviani
Fotografie di Luca De Santis
Design Isacco Chiaf

“So che il prossimo anno il fuoco tornerà. So che non abbiamo l’equipaggiamento che ci serve e che dovremo combatterlo a mani nude. Ma non importa: lo combatteremo. Il nostro spirito è lo spirito della foresta.” 

Quando si parla del destino delle foreste in cui è nato e cresciuto, gli occhi di Basuki Budi Santoso si fanno lucidi. 

Con i pochi mezzi che hanno a disposizione Basuki e la sua piccola squadra della fondazione Friends of the national park lavorano per difendere la riserva del Tanjung Puting dalle fiamme che ciclicamente lo aggrediscono. Il parco, situato nel Kalimantan centrale, nella parte meridionale dell’isola del Borneo, è stato al centro dei grandi incendi che nel 2015 hanno colpito l’Indonesia. 

Bruciando senza sosta per settimane il fuoco ha ridotto in cenere circa 2,6 milioni di ettari di foresta, principalmente nelle isole di Sumatra e del Kalimantan. 

“Oggi le persone usano il fuoco per liberare i terreni non perché sono cattive, ma perché devono guadagnarsi da vivere,” racconta un compagno di squadra di Basuki, che prima di cambiare vita era proprio un disboscatore illegale, mentre cammina su un sentiero che attraversa una foresta bruciata. 

“Come abbattevo gli alberi per guadagnarmi da vivere, loro usano il fuoco per fare spazio alle coltivazioni. Oggi lavoro come ranger e mi guadagno da vivere così.”

Per raggiungere il campo base di Basuki si deve percorrere il fiume Kumai. Da un piccolo molo si accede a un sentiero che attraversa la giungla, dove i raggi del sole tagliano l’umidità e l’acqua dei ruscelli assume il colore del tè. Dopo qualche ora di cammino si arriva al sito di riforestazione di Beguruh. Qui, Basuki e i suoi uomini lavorano per far rinascere la foresta. “Abbiamo piantato tantissimi alberi nell’ultimo anno su una zona deforestata.”

Basuki, e i tanti che come Basuki difendono le foreste pluviali “con la forza dello spirito”, danno un apporto fondamentale per tenere alto il morale di chi solidarizza con le foreste. 

Le foreste, insieme agli oceani, assorbono enormi quantità di anidride carbonica in circolo nell’atmosfera. Ma come gli oceani, anche le foreste sono minacciate dall’attività dell’uomo. Dal 1990 al 2015 il mondo ha perso 129 milioni di ettari di foreste, distrutti  dalla furia delle motoseghe, del fuoco e del cemento. La deforestazione è andata avanti a un ritmo spaventoso: sono scomparsi circa dieci ettari – l’equivalente di quattordici campi da calcio – di bosco al minuto. 

Se si osservano i dati sugli ultimi cinque anni, dal 2010 al 2015, il mondo ha registrato una perdita netta di 3,3 milioni di ettari di foresta all’anno. Un restringimento che si deve soprattutto ad attività dell’uomo come l’agricoltura, l’estrazione di materie prime e l’urbanizzazione. Tra queste, allo stato attuale delle cose, è l’agricoltura industriale la prima causa di deforestazione nel mondo. 

Ma se è vero che il problema della deforestazione varia molto da zona a zona, ciò che accomuna i bacini di foresta pluviale in Amazzonia, Congo e Sudest asiatico è il fatto che perdono ogni anno milioni di ettari. 

L’Amazzonia, secondo il sito InfoAmazonia, abbraccia più di 5 milioni e mezzo di ettari e contiene più della metà delle rimanenti foreste pluviali del mondo. L’enorme manto forestale amazzonico è un tempio che ospita milioni di specie animali e vegetali, tra insetti, piante, pesci, uccelli e mammiferi. Nella sola Colombia ci sono più di 1.500 specie di uccelli, e nella Riserva di Tambopata del Perù su un singolo albero sono state trovate 43 specie di formiche. 

Secondo Rainforest Foundation la foresta amazzonica produce circa il 20 percento dell’ossigeno disponibile nel mondo e contiene un quinto delle acque dolci del mondo. Ma come la foresta del Borneo, anche l’Amazzonia subisce l’aggressione dell’uomo. Dai dati raccolti dall’Inpe (Istituto nazionale di ricerche spaziali), un istituto pubblico di ricerca brasiliano, se è vero che rispetto al 2004 il tasso di deforestazione è calato significativamente, il 2016 è stato per l’Amazzonia l’anno più duro dal 2008 in poi. Secondo l’Istituto dal 2004 al 2015 è andata distrutta un’area forestale grande come il Nicaragua. 

All’ombra del casotto in legno gli uomini di Basuki si prendono un momento di riposo. Qualche amaca, un fornello a gas per bollire l’acqua del caffè, una doccia all’aperto. A pochi metri, all’ombra, giacciono file di vasi che contengono le piantine degli alberi. “Questo è il nostro vivaio. Qui ci prendiamo cura degli alberi che andranno a ripopolare la foresta andata in cenere”, racconta Basuki. 

“Gli incendi tornano ogni anno, soprattutto da settembre, durante la stagione secca. E il fuoco continua a bruciare anche quando è apparentemente spento, perché arde sottoterra, nella torba.” racconta Basuki. “Quando gli incendi tornano combattiamo senza sosta per spegnerli. Di notte dormiamo a turno a pochi metri dalle fiamme, qualcuno perde la vita soffocato dal fumo. Nei periodi di tregua invece ripiantiamo gli alberi nelle zone bruciate e ci prepariamo per la prossima battaglia.” 

Basuki vive gran parte dell’anno nella giungla, coordinando gli interventi contro gli incendi e vari progetti di riforestazione. Il suo stipendio gli permette di volare due volte all’anno dai suoi due figli e sua moglie, che vivono a Giacarta. Chi vuole può fare una donazione all’organizzazione di Basuki presso il sito fnpf.org. 

Le testimonianze e i dati sono tratti da “Lungs of the Earth”, un viaggio multimediale nelle foreste del mondo. Il lavoro è stato pubblicato in varie lingue su El País, Der Spiegel, Al Jazeera e Internazionale.

La versione in inglese, con quattro video, è disponibile su www.bit.ly/lungs-earth.

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