“Era sempre una relazione d’intimità, sconosciuta in Occidente, tra uomo e sasso, uomo ed erba, uomo e fuoco, uomo e conchiglia”.
Ore giapponesi, Fosco Maraini, Casa Editrice Corbaccio.
Il ventunesimo tifone della stagione del Pacifico avanza in direzione nord verso Okinawa nel giorno in cui il Paese va al voto per le elezioni generali. Un numero record di cittadini esce prima dell’arrivo della tempesta. Lan è così enorme che la sua nube oscura tutto il Giappone. Anche il giardino di Gert aspetta la tempesta. Scuoterà il tessuto indigo giapponese con il tratto del monte Fuji innevato e di una falce di luna, sospeso alla parete accanto alla semplice scopa di paglia di riso. Scuoterà i paesaggi di Gert: piccoli alberi, piccole rocce e piccole porzioni di muschio in vassoi rettangolari di ceramica.
In Giappone esistono milleseicento varietà di muschio e possono diventare per l’uomo un modo poetico di ricomporre il segreto divino delle cose che ci circondano. Gert van Tonder si innamorò totalmente dei muschi in Sudafrica all’età di dodici anni e Kyoto sembrava il posto migliore dove coltivare il suo training formale da moss gardener, “il giardiniere di muschio”. Divenne un neuroscienziato specializzato in psicologia della visione, ovvero nello studio scientifico della percezione visiva umana. Insegnò a Kyoto e visitò le migliori università della West Coast e della East Coast degli Stati Uniti, dove si distinse per i suoi corsi accademici di estetica dei giardini giapponesi. Lavorò in alcuni dei giardini “top” dei templi Zen di Tokyo. Sposò Ai, pittrice giapponese, ebbero una figlia, Nora, che oggi ha 11 anni. Nel 2005, acquistarono e restaurarono una casa storica a Kamigamo, il quartiere più antico di Kyoto, dove ancora vivono. E dove questa mattina ci aspettano per mostrarci tutte le arti della loro “famiglia con giardino”.
È il giovane Amae-san a portarci da Gert, ci diamo appuntamento sotto il torii principale del sacrario Shinto di Kamigamo e camminiamo appena, fino a quello che tutti riconosceremmo come un aristocratico villaggio campestre. Il tifone è stato tremendo. Poi stamattina è uscito un sole tiepido e le rocce bagnate luccicano. Gert osserva la sua scatola di pini, rocce e muschi seduto sul limitare dell’engawa, il corridoio di legno che fa da spazio intermedio tra l’interno della casa e il giardino e che permette di sentire le stagioni. I giapponesi vi passano tutto il loro tempo, camminano, chiacchierano, sostano sulla veranda e non si capacitano come noi preferiamo restare riparati dentro. Del resto è novembre inoltrato. Amae-san poco più in là si leva le calze blu e affonda i piedi nudi sui primi sassi del giardino, come fanno gli italiani quando incontrano la spiaggia. Amae-san cerca di venire spesso a respirare l’aria pura di Kamigamo, ai piedi della montagna di Ko-yama. Dairik Amae è un ragazzo calmo, è nato e cresciuto alle Hawaii da genitori giapponesi, ma il suo posto nel mondo è a Kyoto, parla perfettamente inglese, ha appreso il rito tradizionale della cerimonia del tè dal suo maestro e lo pratica quotidianamente, con una teiera antica prodotta da quella che oggi è la Panasonic, con le tazze ricevute in eredità dalla nonna e con l’aqua della fonte del Shimogoryo Shrine.
Oggi almeno tre dei telai di legno della veranda di Gert possono essere smontati, che ne dite? Togliamo tutte le finestre, lui non aspettava altro che il nostro via libera, benché fossimo già nel mese dei dolci color autunno. “Ci piace che gli uccelli possano attraversare la casa, prendere la rincorsa dal giardino e sorvolare la stanza, libera dei vetri”. “Gli animali volanti amano abitare questa casa, la sera una coppia di farfalle viene a addormentarsi sulla stuoia di paglia, le troviamo spesso qui, sdraiate una accanto all’altra”. Nora è ancora a lezione di koto, domani avrà una parte importante da solista. Ai prepara il tè in cucina, il migliore roobois, che serve con abbondante latte freddo come si usa in Sudafrica, dove è nato suo marito Gert, e un kaki acerbo tagliato in quattro parti esatte come una mela dolce.
La stanza maggiore di questa casa antica sembra una sukiya, la “stanza della fantasia” o anche la “stanza del vuoto”, dove le cose che servono agli umani sono appese alle pareti e solo la vita le riempie. Le mani precise di Nora sulle corde del koto e la sua voce limpida, le mani precise di Gert sul tavolo da lavoro.
Gert, Ai e Nora ci accompagnano a piedi alla fine della strada di casa, facciamo rumore sui sassolini bianchi del selciato, la via privata più bella di Kyoto è fiancheggiata da mura che custodiscono pini, rocce e muschi di giardini giapponesi che si credono foreste e da un rivolo del fiume Kamo.