Poesia che penetra nel cuore attraverso gli occhi sono gli spazi di Amanemu. Seduta pacificamente sull’orlo di un pezzo di natura poco addomesticata sulle acque di Ago Bay, nel suo carattere contiene le brume delle mattine invernali, il lento passaggio puntuale del battello turistico Esperanza che porta alle fabbriche di perle coltivate della baia, i crepuscoli traslucidi sulle piccole isole all’orizzonte. La guarigione avviene in poche ore, abbracciando corpo e anima le superfici d’acqua: dolci acque termali e il profumo tonico d’albero e di qualche agrume giapponese.
Quella notte a Amanemu la pioggia scrosciava, eravamo corsi al ristorante in punta di piedi per evitare le pozzanghere, stringendoci al braccio dei nostri uomini, sotto agli ombrelli grandi color cioccolato che l’hotel metteva a disposizione. All’alba del giorno seguente gli isolotti della baia erano avvolti in una nebbia benigna e ordinammo succo di arance Shiranui. Alle dieci e trenta tornerà il sole, dicevano guardando gli orologi da polso, sono i microclimi del Giappone.
Alle dieci e trenta tornò il sole, quello delle estati leggere di una volta, e con il sole qualcuno tornò a fare jogging nel parco privato del resort termale. Gli uccelli cantavano come in qualche isola di latitudini meridionali della Terra e solo un pazzo avrebbe lasciato quel posto. Ma alle tredici bisognava mettersi in fila per il Niiname-sai al Grande Sacrario di Ise, la cerimonia autunnale di gratitudine verso il raccolto di riso, e poi per quei dolcetti color mora sul fiume.
A Ise, sul pavimento di legno di una casa di legno sulle sponde del fiume Isuzu ognuno ricevette su un vassoio rotondo la sua porzione di akafuku mochi: due onde color mora, pasta di fagioli dolci azuki dell’isola di Hokkaido lavorata a spatola e una tazza di tè fumante. Pettegolezzi dicono che oramai si venga più per passare qualche ora nella sala da tè che per il tempio. Sekishin Keifuku – ‘Sincere Happiness’ – chiamano il sentimento che porta qui.
“Una lingua scritta in base ai suoni, come la nostra, include nella maggioranza delle sue manifestazioni solo due elementi principali: significato e pronuncia. Quando si sublima in quella quintessenza del linguaggio ch’è la poesia, essa ama fondersi col canto, avvicinarsi alla musica; la poesia occidentale é fatta essenzialmente per essere recitata. Una lingua scritta ideograficamente comporta invece tre elementi: significato, suono ed apparenza. Quando si sublima in poesia tende piuttosto a divenire sorella della pittura o dell’architettura, intesa quest’ultima come arte dei rapporti nello spazio. La poesia è fatta essenzialmente per essere vista; penetra nel cuore attraverso gli occhi”
Ore giapponesi, Fosco Maraini, Casa Editrice Corbaccio.
Poesia che penetra nel cuore attraverso gli occhi sono gli spazi di Aman Tokyo. Legno, carta e pietra ci parlano una lingua immediata. Sotto scorre Tokyo, potremmo allungare una mano e accarezzare il bosco disciplinato dei giardini dell’imperatore, la facciata in mattoni rossi della stazione centrale dei treni, spostare qualche gru, rallentare il ritmo delle automobili sull’asfalto. C’è una vita da semi-dei al trentacinquesimo piano della Otemachi Tower e con un tasto di ascensore si può uscire al livello della città e incamminarsi tra la gente degli uffici di Marunouchi o scendere ancora più giù, nei corridoi della metropolitana, e sparire a Tokyo.