Real Museo Mineralogico Napoli

di Piergiulio Cappelletti e Carmela Petti

La storia del Real Museo Mineralogico dell’Università Federico II di Napoli testimonia la storia, in qualche modo, dello sviluppo delle Scienze nel Regno di Napoli a partire dalla seconda metà del Settecento. Il monumentale palazzo che lo ospita, (detto del Salvatore), è un edificio cinquecentesco nel cuore del centro storico di Napoli. Acquistato nel 1554 dai padri della Compagnia di Gesù fu utilizzato come Collegio Massimo fino al novembre 1767, quando con decreto governativo i Gesuiti furono espulsi dal Regno di Napoli. Nel 1777 nel complesso gesuitico fu trasferita l’Università e, in seguito altri spazi furono dati all’Accademia di Scienze e Belle Lettere e al Collegio Ferdinandeo. Fondato nel 1801 da Ferdinando IV di Borbone, il Real Museo Mineralogico è uno tra i più antichi d’Italia.

Secondo le intenzioni della corte borbonica il museo doveva essere un moderno centro di ricerca che contribuisse al rinvenimento di risorse minerarie nel Regno di Napoli e al tempo stesso un luogo di studio per le giovani generazioni. Al Museo si arriva salendo lo scalone monumentale, realizzato da Cosimo Fanzago intorno al 1650, a cui si giunge sia dal portale di via Mezzocannone sia attraverso lo splendido cortile detto “delle Statue” costruito nella prima metà del 1600. Si è subito accolti in un ampio e luminoso corridoio dove è ospitata la Collezione di strumenti scientifici di interesse storico formata da più di 70 strumenti, datati da metà Ottocento fino agli anni settanta del Novecento. Essi raccontano l’evoluzione degli strumenti mineralogici e conseguentemente il progresso degli studi mineralogici a Napoli. Si passa poi nel Vestibolo, con la collezione Grandi Cristalli dove cristalli di dimensioni particolarmente notevoli e forme perfette, sono esposti in teche di noce realizzate nella seconda metà del secolo scorso. Fra tutti spicca la coppia di cristalli di quarzo ialino del Madagascar di 482 kg, donata a Carlo di Borbone nel 1740. I minerali esposti catturano sicuramente l’attenzione del visitatore ma è la sala successiva che lascia increduli: la sala principale del Museo. In origine era la Biblioteca settecentesca del Collegio Massimo dei Gesuiti, iniziata nel 1688 e completata nel 1700; la sala è lunga 36,5m e larga 11m e si articola su due livelli: quello inferiore presenta al suo intorno vetrine realizzate in legni pregiati, con colonne di ordine dorico; il livello superiore è un ballatoio e che presenta una serie di colonne di ordine corinzio che, nel raccordarsi con archi di legno, conferiscono maestosità all’ambiente, lasciando i visitatori stupefatti. La sala, nonostante i numerosi interventi di restauro succedutisi negli anni, ha mantenuto l’assetto originario, a eccezione degli intagli in legno dorato ai quattro angoli che rappresentano strumenti geodetici e attrezzi minerari della seconda metà dell’Ottocento.
Il Museo ha inoltre avuto un ruolo importante nella storia sociale e politica del Regno di Napoli prima e dell’Italia in seguito. Infatti, la sala fu scelta come sede dell’inaugurazione del VII Congresso degli Scienziati italiani che si svolse a Napoli dal 20 settembre al 5 ottobre del 1845, con ben 1613 partecipanti. Nel 1848 il Museo ospitò il primo incontro della Camera dei Deputati, a seguito della Costituzione concessa da Ferdinando II di Borbone il 29 gennaio dello stesso anno. La sala fu restaurata e il soffitto affrescato a rosoni e festoni con i nomi delle province del Regno. Qualche anno dopo, nel 1860, la stessa sala ospitò uno dei dodici seggi elettorali per il plebiscito di annessione al Regno d’Italia. Nel 1862 nella sala furono eseguiti lavori di restauro e il pavimento, che si conserva attualmente, fu totalmente rifatto utilizzando splendide piastrelle con fondo verde e marrone della fabbrica Colonnese di Napoli. Il passaggio dal regno borbonico a quello sabaudo è testimoniato da nove piastrelle che formano lo stemma sabaudo a vari colori, poste ai lati e negli angoli della sala. Drammatici avvenimenti come il terremoto del 23 luglio 1930 e gli eventi bellici dell’agosto del 1944 provocarono danni notevoli alle strutture e alle Collezioni. Il soffitto della sala crollò con il terremoto del 1930, venne rifatto ma non fu recuperata nessuna decorazione. Il Museo fu riaperto nel 1960 e poté riprendere la sua funzione scientifica, educativa e sociale ma, in seguito al terremoto del novembre 1980, divenne nuovamente inagibile per i gravi danni subiti.

I lavori di restauro e consolidamento delle strutture, il restauro degli arredi lignei e del pavimento, l’allestimento delle sale con i nuovi spazi assegnati al museo, durarono più di dieci anni. Oggi copre complessivamente una superficie espositiva di 800 mq che si snoda su tre lati dell’edifico e si affaccia sul Cortile del Salvatore dove un tempo si aprivano i vari oratori.

Il Real Museo Mineralogico ha avuto il privilegio, sin dalla sua istituzione, di poter disporre di preziosi esemplari provenienti dai più importanti giacimenti minerari esteri ma anche dai distretti vulcanici della Campania e in particolare dal complesso vulcanico del Somma-Vesuvio. Il Museo custodisce circa 46.000 reperti, suddivisi in collezioni che coprono un arco cronologico significativo. Nella sala principale è esposta la Grande Collezione del Real Museo, costituita da minerali rappresentativi di numerose località geologiche del mondo; alcuni per bellezza e grandezza sono vere rarità. Molti i minerali, raccolti in Germania, Ungheria, Romania, Russia, Francia, Inghilterra tra il 1789 e il 1797 da una spedizione di sei giovani naturalisti inviati presso l’Accademia mineraria di Freiberg (Sassonia, Germania) per migliorare le loro conoscenze mineralogiche e minerarie. Essi rivestono un particolare interesse scientifico e collezionistico, provenendo da località minerarie europee ormai dismesse. Reperti di più piccole dimensioni ma altrettanto importanti sono esposti in bacheche realizzate nella seconda metà del secolo scorso, disposte su due file, con al centro un ampio corridoio che lascia scoperto il bellissimo pavimento. Al termine della sala principale, si passa alla sala Scacchi, dedicata all’illustre mineralogista e geologo che diresse il Museo dal 1844 al 1891, e che è adibita alla Collezione Vesuviana, di eccezionale valore e interesse scientifico essendo unica e irripetibile, in considerazione del fatto che numerose specie minerali non si generano più.
La raccolta di minerali del Vesuvio è probabilmente una delle più belle al mondo ed è riconosciuta come una delle maggiori raccolte di campioni per la ricerca scientifica. La collezione di minerali del Vesuvio iniziò nel 1844, quando Arcangelo Scacchi nominato in quell’anno Direttore del Museo e professore di Mineralogia, decise di raggruppare tutti i minerali del complesso vulcanico Somma-Vesuvio in una collezione dedicata. La collezione si è continuativamente arricchita con esemplari raccolti e studiati da Scacchi, ma anche con acquisti, donazioni e scambi di campioni. Anche in questa sala i minerali sono disposti in vetrine ottocentesche e in bacheche fatte costruire in anni successivi, con reperti di grandi dimensioni come bombe vulcaniche e campioni di lava.
La collezione è formata da circa 3500 reperti , tutti prodotti dall’attività del famoso vulcano napoletano: rappresentativi di molte eruzioni dal 1631 sino all’ultima, avvenuta nel 1944. Colpisce associare questi splendidi cristalli dalle forme e colori così diversi a un vulcano considerato nell’immaginario collettivo fonte di pericolo e distruzione. Tra le specie esposte, è opportuno ricordare i cristalli di vesuvianite, che sono particolarmente affascinanti; questa specie mineralogica è stata scoperta per la prima volta presso il Monte Somma nel 1723 e venne nominata vesuvianite da Werner nel 1795. I colori variano dal bruno, all’ambra, al nero. Anche i granati, in rombododecaedri pressoché perfetti, con colori variabili dal rosso vivo, al bruno al nero, meritano di essere menzionati, assieme agli splendidi e rari campioni di lazurite, il lapislazzuli, in cristalli blu e agli splendidi campioni di haüyna, con cristalli azzurri più o meno intenso nei geodi di blocchi calcarei. E ancora il pirosseno azzurro microcristallino e i piccoli, ma perfetti, cristalli di pirosseno dell’eruzione del 1929 e il pirosseno giallo in cristalli distinti; la sarcolite, un raro minerale scoperto per la prima volta al mondo nel 1807 da G. Thomson nelle cavità delle lave del Monte Somma, di colore rosa-arancio e lucentezza vitrea. La leucite (dal greco leucos, bianco), scoperta dal geologo Abraham Gottlob Werner nel 1791, è stata per lungo tempo confusa con altri minerali, in particolare col granato, tanto da essere chiamata anche granato bianco di Napoli. Curiosa e interessante è la raccolta di medaglie coniate nella lava del Vesuvio, che coprono un arco temporale dagli inizi dell’Ottocento fino al 1944, data dell’ultima eruzione del vulcano napoletano. Interessanti sono le medaglie coniate con la lava del 1804 e 1805 in onore di Ferdinando IV e di sua moglie Maria Carolina d’Austria, riportanti le iniziali dei sovrani e la loro effige e quelle coniate nella lava del 1809 in onore di Gioacchino Murat, re di Napoli dal 1808 al 1815. Infine, nella sala attigua altre due collezioni ci aspettano: la collezione dei Minerali dei Tufi Campani, iniziata nel 1807 e la piccola ma significativa raccolta di meteoriti, con un esemplare di siderite del peso di 7583 grammi, rinvenuto a Toluca, Messico.

Una visita al Real Museo Mineralogico dell’Università Federico II di Napoli è insomma qualcosa di inaspettato, un luogo dove la storia, la cultura e la bellezza si fondono, ti sommergono e certamente ti emozionano.

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