Silenzio. Cielo statico e sospeso. Nuvole fisse e immobili. Le piazze sono vuote. Si è fermato tutto. Tutto il mondo. Afferro una scatola sotto strati di ruggine. La spolvero e la apro. Al suo interno alcune fotografie, un fiore di rosa secco, semi di passiflora, chiodi di garofano e dei piccoli amuleti in argento e una sciarpa di raso. Frammenti sparsi di un tempo vissuto, immagini di un passato che ora tento di ripercorrere.
Lungo il grande viale nel cuore antico di Damasco calava la sera. Stavo passeggiando sotto un cielo blu livido dominato dal monte Qassiyun, mentre dai minareti verde elettrico si espandeva l’incessante eco delle preghiere sopra i tetti delle case. La città sprofondava lentamente nel baccano della vita notturna e io vagavo tra le piccole insenature delle vie antiche in cerca di qualcosa. Cercavo l’origine dell’alba. L’origine della storia. L’origine dell’origine. Stavo scappando dal frastuono delle auto di vecchia generazione, dalle grida dei venditori di strada. Avevo bisogno di trovare la pace e la cura lungo le mura di quegli scenari biblici. Non avevo mai fatto caso che la prima alba fosse nata qui più di diecimila anni fa. Vagando d’istinto lungo le arterie di quel labirinto mi soffermai su un bagliore proveniente dall’interno di un Hammam. Sbirciando oltre la porta vidi uomini seduti avvolti in lunghi asciugami di puro cotone intenti a bere tè. Le loro voci aleggiavano a mezz’aria tra i vapori e il profumo di alloro. Ripresi il mio cammino tra le donne accecate dal luccichio delle vetrine, creandomi un varco tra le essenze d’uva e tabacco dei narghilè fumati dagli adolescenti ai tavoli dei caffè. Agli angoli delle strade gruppetti di anziani agitavano i loro dadi su scacchiere da backgammon, tra un sorso di cumino e sguardi sospetti. Entrai finalmente nella Bzurriya Souq. Ipnotizzata dalla vitalità di quel luogo, mi lasciai trascinare in quel vortice di forme, colori e odori di spezie. All’improvviso una sensazione di malinconia mi trovò impreparata. Il profumo di origano mi raggiunse proiettandomi nella casa dei miei nonni paterni. Proseguivo in quel teatro millenario scenario di conquiste e conflitti. Affondavo fino al polso la mia mano in un sacco di iuta pieno di fiori secchi di rosa damascena. Assaggiavo pistacchi freschi, mandorle acerbe, prugne, gelsi e fichi d’india. E ancora noci e zaatar tra pile di sapone di Aleppo e chiodi di garofano. Un venditore di caffè ambulante volteggiava il suo bicchiere d’argento tra le risate di un gruppo di ragazzini alla guida di carrelli stracolmi di prodotti.
Hello miss! Please welcome – mi sussurra la voce ormai adulta di un giovincello fermo sulla soglia del negozio di antiquariato. Argento in ogni forma, quadri, coperte in tessuto damascato, tovaglie ricamate, ceramiche, vasi, lampadari, abiti tradizionali, caraffe, tamburi, bambole, lanterne di vetro e amuleti. Un accumulo informe di suppellettili nascondeva le mura della stanza occultando soffitti e pavimenti.Un guardiano con i baffi domina nella foto sulla parete di fondo. Con quel suo sguardo atavico impastato alla grana analogica del bianco e nero. Nel sorriso del ragazzino intravedo gli stessi lineamenti del guardiano. Gli rispondo in arabo: Shukran! Magari la prossima volta.
Parli arabo così bene?
Sorrido.
Sì, sono cresciuta a Damasco.
Ma non sembri una di qua. Sembri tedesca.
Forse perché non abito più qui da molto tempo, o forse perché questo posto in verità non esiste più.
Io esisto e mi chiamo Karim. Cercavi qualcosa?
Sì, ma non so se mi potrai aiutare. Sto cercando l’origine della creazione. L’inizio di tutto. Vorrei capire a che punto ci siamo persi per arrivare alla distruzione.
Parli della guerra? – Mi chiede.
Mia zia Alissar legge il fondo del caffè. Ha visto il cielo avvolgersi nel fumo e fuoco. Ha visto piovere cenere. Ha visto il tramonto tingersi di un arancione esplosivo.
Posso conoscerla?
Seguimi.
Il ragazzo mi conduce fino a una porta incastonata tra due colonne di granito, entro avanzando lentamente. Su una poltrona di velluto color smeraldo sedeva una presenza. Capelli neri e lunghi come la notte risaltavano la pelle bianca del suo volto, Kamar!
Salve, mi manda vostro nipote Karim, vorrei…
Accomodati.
Zia Alissar mette a bollire sul fuoco il caffè, versandolo in una tazza dai bordi dorati.
Bevilo! – Mi dice. Mando giù quel liquido nero con sentori di cardamomo.
Adesso rovescia la tazzina nel sottopiattino – Mi ordina.
Rimaniamo sedute in silenzio ad aspettare il futuro. Ogni storia ha il suo tempo. Si deve saper attendere con pazienza. Fuori ormai è notte. Si sente il profumo del gelsomino. Zia Alissar riprende la tazzina. La osserva con fare esigente facendola oscillare. Mi guarda negli occhi e sottovoce mi svela il nostro segreto. Uscendo in strada ritrovo Karim ad attendermi. Lo saluto con un piccolo cenno e nel ringraziarlo proseguo nella mia passeggiata. Il ragazzo diviene pensieroso e inseguendomi mi chiede: Cosa ti ha raccontato zia Alissar?
Mi ha aperto il cuore e gli occhi – gli rispondo.
Lui curioso: Posso raccontarti una cosa? Se vai nella via qui in fondo c’è un albero di gelso, sotto ho sepolto un mio segreto.
Perché sotto un albero?
Perché se la guerra dovesse cancellarmi via, vorrei che il mio segreto crescesse e fiorisse assieme all’albero. Ogni bacca sarà la mia memoria. Ogni volta che qualcuno assaggerà le more di gelso verrà proiettato nei miei segreti. Dovresti assaggiare il gelso di quell’albero. È dolcissimo!
Sei tu molto dolce – gli rispondo. Sono sicura che i tuoi segreti sono dolcissimi come te!
Quando sarò grande ti sposerò – mi dice. Ti comprerò una casa grande con un grandissimo giardino, pianteremo tante piante e fiori. Ci sarà anche una fontana dove in estate metteremo al fresco la frutta. Ci sdraieremo sui materassi colorati. Parleremo fino alla notte profonda fumando narghilè. Sarai la mia regina!
Come fai a esserne così sicuro?
Lo sono e basta. Sono già un uomo! Gestisco il negozio di mio padre, adesso lo aiuto ma dopo sarà il mio turno e mi prenderò tutte le responsabilità.
Quanti anni hai Karim?
Tredici.
Certo, sei un uomo ormai! Ma purtroppo non sarò la tua regina. Sono sicura che ne troverai una! – sorrido.
Adesso ti devo lasciare. Ti saluto e ti auguro di andare avanti e di resistere.
Aspetta! – mi dice, mettendomi nel palmo della mano una sciarpa di raso color porpora ricamata con le bacche di gelso –, è un regalo per i tuoi bellissimi occhi. Così ti ricorderai dello Sham… e di me.
Tanto rumore. Il cielo divampa nel rosso dell’alba. Nuvole leggere in movimento. Ora le piazze sono piene di persone. Tutto è in movimento. Tutto il mondo. Mi trovo a osservare queste fotografie. Chissà se quell’albero di gelso é ancora lì dove tutto ha avuto origine.