Belcanto. Jose Avillez

Testo di Paola Corini
Fotografie di Luca De Santis

Chiado, Lisbona, Portugallo. Alle dieci di mattina arriviamo in piazza São Carlos con la bocca sporca di briciole di sfoglia alla crema, gialla come la bella facciata del Teatro Nazionale. Chef José Avillez (due Stelle Michelin) è in cucina con la sua brigata a disporre tutte le preparazioni per il pranzo delle dodici e trenta. Osserviamo un rituale silenzioso, i gesti sono tranquilli e calibrati, senza diventare formali o alteri, deve essere la sua presenza felice a rendere la situazione normale.

Si avvicina alla pentola alta del brodo, alza le mani piano nel vuoto e come a disegnare dei vortici armoniosi invita il vapore a venire verso di sé, si protende appena, aspetta, inspira, chiude gli occhi, sta ricordando il mare. In una serie di foto in bianco e nero sulla parete, una donna piena di garbo e altra felicità siede sulla sabbia invasa dal vento.

In questo istante decidiamo per un nuovo viaggio. C’è una linea di ferrovia che porta a Cascais, disegnando trenta chilometri di costa a ovest di Lisbona. Il primo treno parte dalla stazione Cais do Sodré alle 5:30, le biciclette viaggiano gratis, e andando in direzione di Cascais si prenderanno i sedili di sinistra per vedere sempre l’acqua, il fiume Tago che diventa Atlantico. A fine Ottocento la baia, un villaggio di pescatori, fu scelta per il suo clima mite come meta di villeggiatura dai reali del Portogallo e in fretta a Cascais arrivarono altri nobili europei in villa. José e la mamma amavano semplicemente il vento che scuote la spiaggia di Praia do Guincho, a pochi chilometri dalla casa del nonno, che aveva sempre vissuto qui.

“Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: ‘Non c’è altro da vedere’, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già fatti, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito”.

Il viaggiatore è José Saramago ed è il 1981 quando regala alle stampe Viagem a Portugal (Viaggio in Portogallo). José Avillez, stesso nome di battesimo, stessa indole. José compie un viaggio nel mondo per tornare viaggiatore nella sua terra, è notizia fresca di quest’anno che abbia acquistato il Lucullus e torni a Cascais. Della sua cucina, come di una marina confinante con l’oceano, vorremmo conoscere tutti gli umori, vedere di sera quel che si è visto di giorno, la piccola pietra che ha cambiato posto (tra gli amuse-bouche compaiono dei perfetti sassiolini eduli, modellati da burro di cacao e ripieni di mousse di fegato di merluzzo, oltre a un vaso di fiori nel cui bouquet vanno cercati piccoli temaki di tartare di tonno delle isole Azzorre). Tornare sui piatti già conosciuti, ripeterli, origini e evoluzioni, memorie e invenzioni, inventare altro purché apra ricordi, ricominciare il viaggio.

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