“Viaggiare non serve. Se uno non ha niente dentro, non troverà mai niente fuori. È inutile andare a cercare nel mondo quel che non si riesce a trovare dentro di sé”, diceva il vecchio saggio a Tiziano Terzani in Un altro giro di giostra. Arrivare alle Azzorre in una giornata di maltempo può essere un’esperienza perfino lugubre, se non si è preparati ad accogliere la potenza di queste isole vulcaniche situate in mezzo all’oceano Atlantico, a metà strada tra America e Europa. Una cosa è certa: se si ha qualcosa dentro, se non si ha paura della solitudine e del silenzio atavico di queste isole, le Azzorre smettono di essere soltanto un posto, ma diventano presto uno stato d’animo.
Gente felice con lacrime è il titolo del celebre romanzo di João De Melo, nato nell’isola di São Miguel, e riassume bene il temperamento degli abitanti di queste isole. Non dimenticherò mai le persone conosciute nei miei viaggi alle Azzorre, e quella loro gentilezza da ventottesimo parallelo. Serafino, un pescatore un po’ ebete che mi ha portato a vedere la Tourada à corda, una specie di corrida tradizionale, a Pico da Urze nell’isola di Terceira; o la cameriera burbera del Clube Nautico di Angra do Heroismo; o Erminio, un italiano naturalizzato azzorriano, che vive da tanti anni su una barca di legno al porto di Horta, nell’isola Fajal; o infine Vincente, un anziano ex combattente in Angola e il suo tè alla menta di campo. Tuttavia sappiamo che i primi abitanti di queste isole “sparse disordinatamente in mezzo all’Atlantico” non sono gli esseri umani. Le balene, che Antonio Tabucchi considerava “non animali, ma metafore”, popolano numerose le acque dell’arcipelago, così come insegne, mosaici, souvenir, a volte sono persino immagini votive. Del resto, come scriveva Melville in Moby Dick, quando il nostro mondo sarà nuovamente sommerso, la balena sarà lì ad attraversare i mari soffiando ancora una volta la sua sfida verso il cielo.
Se penso alle Azzorre, penso a Philip Hoare, lo scrittore di Southampton che ha firmato pagine memorabili sulla storia di questo popolo e il suo legame con gli animali “metafisici” per eccellenza. Quando ho chiesto a Philip qual è il suo ricordo più indelebile delle Azzorre mi ha raccontato del suo primo incontro con una balena. “I suoi ‘clic’ che mi attraversano il corpo. L’enorme distanza tra noi annullata in un attimo. Una comunione. Stento ancora a crederlo. È nuotata nella mia testa per non lasciarla mai più. È sempre lì, nei miei sogni”.
Hoare dice che le balene erano qui prima ancora dell’esistenza delle isole e continuano a frequentare questo luogo in costante mutamento. Mi chiedo se ci sia una ragione geologica o geografica per questo. “I capodogli in particolare considerano casa questo arcipelago. Le acque profonde, abissali, che non prevedono nessuna sabbia dorata per turisti umani, sono per loro un conforto e una risorsa. L’ultima volta che sono andato alle Azzorre ho registrato per un’ora e 47 minuti con un idrofono i ‘clic’ sonori del maschio di capodoglio mentre va a caccia. I ‘clic’ erano regolari mentre lo sentivo andare in cerca di cibo. Acceleravano una volta individuata la preda, per scomparire improvvisamente dopo averla catturata. Casa per una balena è dove ci sono altre balene. Sono animali che vivono come individui collettivi. Sono connessi da un universo sonoro. Io immagino i loro ‘clic’ che rimbalzano contro questi vulcani sommersi. Deve essere per loro un suono che dà sicurezza e li fa sentire a casa. Sono state cacciate per un secolo, che in fondo è un semplice batter d’occhio nella loro lunga storia evolutiva. La loro è una cultura matriarcale che si perpetua generazione dopo generazione, è immensamente piu antica della nostra”.
Da un punto di vista commerciale, le balene sono state il cuore dell’economia di queste isole fino a che nel 1986 la caccia è stata dichiarata illegale. Sono tante le storie di vecchi balenieri “in pensione” che hanno perso il lavoro, una è finita in un romanzo poco conosciuto ma malinconicamente bello, Il baleniere delle montagne di Romana Petri, che racconta la storia di un vecchio baleniere dell’isola di Flores, la più arcaica e disabitata delle isole insieme alla minuscola Corvo.
Oggi si dice che il whale-watching abbia sostituito in modo proficuo quest’attività. I vecchi balenieri azzorriani sostengono che le balene sono totalmente indifferenti alla presenza umana anche durante la copula, sarà ma trovo vagamente ipocrita il concetto di ecoturismo. “Anch’io ho emozioni contrastanti verso il whale-watching e il modo in cui ha rimpiazzato la caccia. Di fatto le stiamo ancora perseguitando. Distruggiamo ciò che osserviamo. E ancora una volta dobbiamo fare ammenda di fronte alle balene, per quello che abbiamo fatto. Io mi sono limitato a immergermi con le balene grazie a uno speciale permesso governativo. Con il fotografo Andrew Sutton ho avuto la fortuna di gettare un ponte su ciò che il critico d’arte John Berger chiama “l’angusto abisso di incomprensione che sta tra noi e la natura”. Ho riportato in superficie alcune storie della loro bellezza. Mi sono sentito come fossi un passaggio segreto che unisce il loro mondo al nostro. Così quando durante la nostra ultima visita abbiamo osservato una giovane femmina quasi piroettare nell’acqua, mi sembrava impossibile credere che non fosse consapevole della sua bellezza. I suoi straordinari colori erano l’equivalente marino di un abito di alta moda. È un individuo, una persona non umana, un essere sospeso sotto i raggi del sole, sotto ciò che Melville chiamava “la pelle dell’oceano”. A un certo punto si è girata sulla schiena sotto di me per potermi vedere con entrambi gli occhi. Stava cercando di farsi un’idea di me, esattamente come io stavo osservando lei.
Il whale-watching ci permette di fare queste riflessioni. Ha certamente delle conseguenze sulle balene e temo che in qualche modo possa disturbarne l’alimentazione e la socialità. È di sicuro così quando viene praticato senza regole e restrizioni. Ma esattamente come le balene, noi mammiferi umani siamo profondamente curiosi, e questa caratteristica può essere una forza positiva. Dopotutto, è stata la registrazione della canzone della megattera nei lontani anni Sessanta che ci ha reso consapevoli di una loro cultura e ha cambiato per sempre il nostro sguardo su di loro”.
Sono stata due volte alle Azzorre, la prima per terra, la seconda per mare. La prima le ho girate a piedi, da sola. La seconda in barca a vela, con amici e bambini di tutte le età, tra cui mia figlia di un anno appena. Quando sono andata a zonzo per le isole, ero senza un piano e piena di energia; il secondo viaggio è cominciato a Fajal, dieci giorni dopo la morte di mia madre. Durante la navigazione tra un’isola e l’altra abbiamo avvistato molte balene, tra cui un capodoglio vicinissimo. Ogni volta pensavo che fossero apparizioni di mia madre che veniva a salutarmi, e piangevo. Puoi trovare le isole Azzorre incredibili per varie ragioni, una di queste è il fatto che sono diversissime una dall’altra, anche come approdi. Fajal è come una grande madre che ti abbraccia con la sua baia colorata. A São Jorge ti accoglie uno spartano faro a righe bianco e rosso. Flores ha una marina piccolissima e decisamente poco protetta. Non sono stata a Corvo, ma ho letto Le isole sconosciute di Raul Brandão. Nel 1926 lo scrittore arrivò a Corvo, la più piccola e remota delle Azzorre, dopo una decina di giorni di traghetto. Brandão rimase sconvolto dall’asprezza del luogo, dalla luce, dal silenzio: “Corvo non ha peso nel mondo, ma mai ho sentito come qui la realtà e il peso del Tempo”.
Qui sta tutto il senso di queste isole, “monti di fuoco, vento e solitudine”, come le chiamò uno dei primi esploratori portoghesi nel Cinquecento. Qui sei fuori dal mondo, ma tutto è amplificato. Il tempo nelle isole è come sospeso perché esistono indipendentemente dalle nostre limitazioni continentali. Galleggiano libere – come le balene. Il Moby Dick di Melville si muove nel tempo e nello spazio come una creatura aliena. Riesce a essere in luoghi diversi allo stesso tempo. Forse le Azzorre possono fare lo stesso. Il tempo laggiù sembra contemporaneamente fluido e congelato, come se stesse accadendo sempre la stessa cosa, ma ogni volta differente. Dopotutto è il luogo dove fu ritrovata la Mary Celeste [un brigantino canadese il cui equipaggio svanì nel nulla nel 1872, l’archetipo della nave fantasma, ndr], vuota e misteriosamente abbandonata.
Quando sono stato qui per la prima volta, queste isole così nere, così isolate, mi hanno spaventato. Riuscivo a sentire tutto l’oceano intorno a me, l’Europa e l’America lontanissime, le onde che frangevano sulle coste di basalto, la lava immobile. I rincopidi neri volteggiavano nel cielo scuro lanciando i loro richiami come le anime perdute dei marinai annegati. Sono conosciuti come whale birds perché sono da sempre associati ai capodogli. Ci sono così tanti legami perduti che qui si ritrovano, in questo spaccato di natura estrema. È un po’ avvilente realizzare che luoghi e animali del genere esistono ancora nonostante tutto ciò che siamo stati capaci di infliggere loro. Nonostante tutto, le balene resistono, osservano, aspettano… Abbiamo molto da imparare da questi animali, dal loro vivere in gruppo, dal loro, comunicare nel raggio di decine di miglia, dal loro essere sempre vicine anche se lontanissime.
Come dice Prospero, il mago, nella Tempesta: “Che altro vedi nell’oscuro passato / nell’abisso del tempo?”. A me queste isole hanno permesso di vedere oltre quell’abisso, attraverso le loro acque profonde. Forse quando il vecchio saggio diceva a Terzani che viaggiare non serve a niente se non hai niente dentro, forse non pensava a un tu per tu con una balena.
Se le balene si sono evolute molto prima degli esseri umani, non c’è da stupirsi che continuino a frequentare queste isole in costante mutamento. Qui i cetacei sono arrivati prima ancora delle isole; e gli isolani hanno vissuto di balene sin da quando, a metà del Settecento, gli americani approdarono a questi lidi seguendo le rotte commerciali fissate dai venti dominanti. Nelle acque locali gettarono l’ancora molte navi, tra cui anche la già citata Charles W. Morgan, per approvvigionarsi di provviste e di uomini d’equipaggio. A loro volta gli azzorriani, lavorando sul ponte delle barche baleniere, si pagarono il passaggio fino al Nuovo Mondo; gli stessi venti dominanti, che continuavano a soffiare oltre le isole, li lasciarono sulle coste americane, dove molti rimasero per sempre; è stato calcolato che metà della popolazione costiera del Massachusetts è di sangue portoghese o azzorriano. Le stesse borgate delle isole divennero echi architettonici di New Bedford e Nantucket, con i loro vicoli acciottolati che si snodavano fra tetti con lucernari e muri coperti di assi: cittadine del New England, ma con le palme.
[Philip Hoare, Leviatano ovvero, La balena © 2009 Philip Hoare All rights reserved © 2013 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino. Traduzione di Duccio Sacchi e Luigi Civalleri]