Giorni pre-europei

Testo di Paola Corini
Fotografie di Luca De Santis

Alle quattro del pomeriggio il coro di Qaanaaq, un tempo Thule, ha cantato per noi in chiesa, dalle finestre di tutte le chiese di Groenlandia si osserva il mare e il momento in cui gli uomini tornano a casa dalla pesca. Gli Inuit hanno la stessa parola per “inverno” e per “anno”, ukioq, e nelle regioni artiche che sfiorano l’80° parallelo Nord l’inverno dura nove mesi. Una canzone intera era dedicata all’estate e probabilmente sull’idea dell’estate non c’era bisogno di aggiungere altro. 

I fiori e i frutti sbocciano anche nelle strette estati dei climi polari: papavero artico, sassifraga rossa, mirtillo delle paludi. Il coro era composto da tre uomini, per età avrebbero potuto essere figlio, padre e nonno. Il quarto uomo era il direttore del coro e conduceva con il tamburo in pelle di foca che accompagna le musiche e le danze originali Inuit.

Quasi tutte le piccole città hanno il proprio coro e i balli “folk” sono tornati estremamente popolari. I balli moderni sono europei e sono stati introdotti in Groenlandia dai balenieri e dai primi coloni del diciassettesimo secolo. Il più giovane del coro di Qaanaaq si chiamava Aleqatsiaq, aveva gli occhi trasparenti di un lupo siberiano e il cognome importante del trisavolo americano Peary, colui che per primo nel 1909 conquistò o quantomeno mancò di poco il Polo Nord.

Aleq parlava inglese e introduceva i testi, canzone per canzone. La terza era quella che due lepri artiche avevano insegnato a uno sciamano bambino. Se si cercava un approfondimento, di andare un po’ più in verticale nel testo e attraverso esso in qualche modo nella visione del mondo di questi uomini, si finiva per fallire.

Che ci parlassero in lingua inglese, danese o dialetto Kalaallisut, ciò che suonava semplice, lo era culturalmente e in un modo per nulla ingenuo, conservava candore e destrezza indigene.

Questi uomini e i loro antenati avevano visto per secoli paesaggio e bestie, paesaggio e bestie. E nei giorni pre-europei avevano scelto il mar glaciale artico come dimora nomade per la sua abbondanza e disponibilità alla vita. A Qaanqaaq e nei villaggi circostanti vivevano ancora di caccia e la divisa degli uomini del coro non era altro che la giubba estiva di cotone con cappuccio e tasche ampie che si infila dalla testa e che indossano tutti gli Inuit sotto alle cappe di pelliccia di animale.

In Groenlandia chiamiamo le cose per come esse appaiono o addirittura per ciò che sono. Ukaliusaq, letteralmente “quello che sembra una lepre”, è il nome groenlandese per il comune Eriophorum scheuchzeri, o arctic cotton grass, quell’erba che finisce con un batuffolo di fili di lana setosa allungati dal vento. Gli steli vengono usati come fiammiferi e la pianta intera viene raccolta, fatta essiccare e arrotolata per essere mescolata al grasso di foca e bruciare nelle lampade a olio.

Così tutti i paesi hanno una strada principale, l’unica strada che si possa definire grande, ed è chiamata per antonomasia la Strada Grande. La vecchia chiesetta blu di Sisimiut è niente di più che la Chiesa Blu e sta una collina più in basso della Chiesa Rossa, che è rossa e funziona oggi come nuova chiesa della comunità e ha magnifici interni di legno smaltato. I colori delle case unifamiliari “alla danese” introdotte dai primi missionari corrispondevano alle funzioni, in maniera ancora una volta onesta e didascalica. Il giallo per i negozi, il blu per le pescherie, il rosso per l’ospedale o il medico. Altri colori come il rosa acceso o il viola arrivarono solo dopo, come elementi cromatici puramente decorativi e personali.

La Chiesa Blu fu ordinata a Copenhagen nel 1771, pagata con sessanta preziosi barili di olio ricavati da quattro balene, montata a Copenhagen, smontata in pezzi numerati, imbarcata su una nave per la colonia di Holsteinsborg (oggi Sisimiut), bloccata un intero inverno in Norvegia per il mal tempo, riassemblata dove ora si erge e finalmente consacrata nel 1775. 

Il legno era l’oggetto di scambio più desiderato dagli Inuit. Nei distretti della Groenlandia l’unico legno disponibile è sempre stato quello alla deriva che le correnti trasportano via mare dalla Siberia. Quando non bastava per costruire le kayak e le umiak (imbarcazioni più grandi che navigavano a fianco delle kayak trasportando donne e merci, ovvero villaggi), si usavano stecche di ossa di balena, zanne di narvalo, corna. La linea degli alberi è ancora oggi uno dei modi conosciuti per disegnare il limite inferiore dell’Artico, è il punto dove la foresta boreale lascia definitivamente il posto alla tundra, una flora bassa composta di ericacee, salici polari e muschi. Oltre questa linea non ci sono alberi, non crescono alberi su tutte le terre affacciate sulla Baffin Bay dove abbiamo messo piede. 

Un giorno un bambino si stava incamminando sulla montagna quando incontrò due lepri artiche, le lepri gli cantarono una canzone. Il bambino la imparò e poi fece dietrofront e corse dallo zio a raccontargli delle due lepri e della melodia. Lo zio gli chiese se voleva diventare uno sciamano e il bambino rispose: “Forse”. Lo zio gli disse: “Ora non più, non avresti dovuto raccontare quello che le due bestie ti avevano detto”. Il bambino disse che era un vero peccato.

Lo zio sorrise.

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