Rapporto dall’Artico

Valentina Pigmei conversa con il professor Peter Wadhams
Fotografie di Luca De Santis

Peter Wadhams è uno dei massimi esperti a livello mondiale di ghiaccio marino e degli oceani polari. Ha diretto lo Scott Polar Research Institute di Cambridge ed è stato docente di Fisica degli oceani e a capo del Polar Oceans Physics Group dell’Università di Cambridge. Ha condotto oltre cinquanta spedizioni polari di ricerca sul campo, compresi sei viaggi in sottomarino al Polo Nord, e ha svolto la sua ricerca da campi provvisori sul ghiaccio, aerei, elicotteri e con veicoli autonomi sottomarini telecomandati. Ha ricevuto il Premio W.S. Bruce della Royal Society di Edimburgo, la Medaglia Polare da Sua Maestà la Regina Elisabetta II e il Premio Italgas per le Scienze Ambientali. È membro della Royal Geographical Society, dell’Accademia Finnica e dell’Arctic Institute of North America.

Dopo aver vagabondato per il mondo in barca a vela, Signe, la protagonista de La storia dell’acqua (Marsilio, 2018) di Maja Lunde, torna sulla costa occidentale della Norvegia, là dove il fiume incontra il fiordo. Qui, nei suoi luoghi dell’infanzia, rivede il suo amato ghiacciaio, il Blåfonna. “Tutti ghiacciai si sciolgono, lo so bene, ma era comunque diverso vederlo con i propri occhi. Mi fermo, respiro, respiro e basta, il ghiaccio è ancora lì, ma non dov’è sempre stato”. Adesso invece il ghiacciaio si è spostato, arretrando sul fianco della valle, come se avesse tentato di “scappare dagli uomini”.

Quegli uomini che hanno ignorato un problema arrivato oggi a un punto di inequivocabile non ritorno. Non siamo noi a dirlo, ma Peter Wadhams, classe 1948, professore a Cambridge, fisico e oceanografo, autore di Addio ai ghiacci. Rapporto dall’Artico (Bollati Boringhieri, 2017), tra i più importanti studiosi dei ghiacci del mondo.Uno che ben prima delle rilevazioni satellitari, si era accorto che il ghiaccio artico si stava sciogliendo. Wadhams andò nell’Artico nel 1969 durante una spedizione attorno al mondo che segnò l’inizio di tutta la sua futura passione per i ghiacci. Tornato da queste parti undici anni dopo, si accorse che il ghiaccio era diminuito del 15%. Wadhams, che nel 1990 pubblicò un famoso articolo su Nature dando l’allarme, oggi sa che bisogna agire velocemente per evitare la catastrofe climatica.

E questi scenari sono peraltro già diventati letteratura o meglio “climate fiction”: il romanzo di Maja Lunde è uno dei migliori esempi di questa narrativa che racconta di migranti climatici e distopie per la verità abbastanza plausibili. Quanto a noi, quasi trent’anni dopo le sue scoperte, sappiamo che l’Artico non funziona più da regolatore termico e che, anche se Donald Trump sostiene che sia tutto un complotto dei cinesi, la temperatura aumenta di tre gradi ogni anno.

Mentre la scorsa estate intere zone del pianeta hanno vissuto condizioni climatiche estreme: incendi, alluvioni, siccità, il glaciologo più famoso del mondo assicura che entro cinque anni l’Artico sarà libero dai ghiacci durante tutta la stagione estiva, fino a settembre. “Entro due decenni”, ha detto Wadhams a Cartography, “l’Artico sarà per lo più un oceano aperto. Del ghiaccio marino non ci sarà più traccia, le temperature dall’acqua saranno aumentate, ci sarà un mutamento nella vita animale – i pesci rimpiazzeranno orsi polari e foche – e infine le terre che circondano l’artico si saranno riscaldate e perderanno la loro copertura di permafrost”.

Il nuovo rapporto sul clima diffuso lo scorso ottobre dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite, basato su migliaia di ricerche scientifiche, dice che contro il riscaldamento globale non c’è più tempo da perdere e che i prossimi dodici anni saranno cruciali per evitare che l’aumento della temperatura media globale sia superiore a 1,5 °C.

Quel limite è ritenuto una soglia di sicurezza accettabile per avere effetti contenuti e gestibili, riducendo i rischi che comporterebbe un aumento fino a 2 °C. Wahdams è ancora più pessimista: “Potremmo arrivare alla soglia dell’1,5 °C soltanto con un enorme investimento in quel procedimento chiamato Direct Air Capture (DAC) – l’estrazione della CO2 dall’atmosfera attraverso processi chimici e mezzi meccanici. Escludo che ci sia una possibilità di stare dentro la soglia riducendo semplicemente le emissioni di CO2, dal momento che il livello di anidride carbonica nell’atmosfera è già oltre il limite.

Il report fatto da IPCC ammette che dovremo darci da fare con la DAC o la geo-ingegneria, ma non esplicita quale sia l’ordine di grandezza dell’intervento necessario: immane. Il report inoltre nega o minimizza numerosi effetti feedback (emissioni di metano dai fondali marini; innalzamento del livello di mare causato dallo scioglimento dei ghiacci; cambiamenti delle correnti oceaniche) ognuno dei quali potrebbe far crescere radicalmente il riscaldamento”.     

Oggi, vista dallo spazio, la parte più a Nord del mondo è diventata blu anziché bianca: c’è un oceano, dove una volta c’era un lenzuolo di ghiaccio. Uno dei più bei libri sul Grande Nord, Sogni artici di Barry Lopez, riletto in questi giorni suona quasi un’elegia di un paesaggio polare che a questo punto ha il tempo contato: “Non ci sono ombre, lo spazio non ha profondità. Non c’è orizzonte”, scriveva il grande nature writer americano nel 1986.

La storia dei ghiacci e del loro rapporto con il genere umano non è mai stata semplice, anche forse per la lontananza e l’ostilità di questi luoghi.  Il primo uomo a studiare i ghiacci fu un baleniere inglese, sir William Scoresby Jr (1789-1857), che fu poco ascoltato dall’establishment. “Nel XIX secolo Scoresby”, continua Wadhams, “fece le sue fondamentali ricerche sul ghiaccio artico e l’oceano durante i suoi viaggi come baleniere ma non gli fu mai affidata una spedizione ufficiale. Quest’ultime erano condotte da ufficiali navali dalle dubbie capacità, cosa che non poche volte ha portato a disastri e tragedie”. Del resto, anche adesso i governi continuano a comportarsi in modo poco sensato: “La ragione principale per cui il Trattato di Parigi è fallito è il comportamento idiota e egoista del presidente degli Stati Uniti nel tirarsi fori da un accordo stipulato dal suo predecessore. Questo è parte della più assai grande ‘tragedia dei beni comuni’, dove nessuno è preparato per fare qualcosa per il bene comune e l’intero pianeta va a rotoli. Il fracking è una maniera del tutto provvisoria di prelevare più combustibile a un prezzo più basso, a costo di fare un danno gigantesco alle risorse di acqua. E non prolungherà che di qualche anno l’era del gasolio a prezzi bassi. Le superpotenze dovrebbero avere agire insieme nella gestione dell’Artico. Invece abbiamo la Russia che costruisce rompighiaccio a scopo militare e diverse altre nazioni rivendicano diritti della terra sotto l’oceano Artico. I confini dell’Artico sono stati definiti dalle Nazioni Unite, tuttavia la Russia sta ancora cercando di avere la meglio”.

Non fa sconti a nessuno, Mr Wadhams, anche se anni di convivenza con la durezza dei ghiacci l’hanno reso un uomo molto mite e gentilissimo: “I cambiamenti climatici sono un impoverimento spirituale per la Terra, oltre a essere una catastrofe concreta per l’umanità”. 

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