Se ne parlava ancora in paese, gli abitanti di Ilulissat ne sarebbe andati quasi fieri fino al successivo millennio, del resto era un fatto storico: l’iceberg che affondò Titanic nell’aprile del 1912 era nato dal Sermeq Kujalleq, il massivo ghiacciaio che scorre in prossimità di Ilulissat. I ghiacciai scorrono come fiumi lentissimi verso il mare, strisciano sotto il loro stesso peso disumano, le bolle d’aria ingabbiate negli strati di neve compressa scoppiettano. Ilulissat, a buon ragione, significa esattamente “gli iceberg”, il Sermeq Kujalleq ne produce come una macchina per pop-corn da luna park, e a allungare la vista e tendere l’orecchio un uomo ne può afferrare ritmo e suono. Tutto iniziò con una nevicata 15.000 anni fa e gli inverni polari irrobustirono Titanic. Una volta deciso, ci aveva messo oltre un anno a sganciarsi dal ghiacciaio madre e a spingersi giù lungo il fiordo gelato e poi ancora due anni circa a arrivare a poche miglia da New York City per la notte della collisione. Detta così sembra un’avventura studiata a tavolino. Una volta in mare aperto, aveva viaggiato per un tratto verso nord, sospinto dalla acque fredde della Baia di Baffin, e poi a capofitto verso sud, avvantaggiandosi della Corrente del Labrador che trascina a latitudini meridionali dell’Atlantico, a volte persino fino al 41° parallelo Nord, per intenderci all’altezza di New York City per l’appunto, o di Istanbul o del Golfo dell’Asinara.
Metà della sua grossa massa era già stata consumata durante il viaggio e, a quel punto, si sarebbe sciolto del tutto, sarebbe scomparso nel nulla in soli quattordici giorni. Che è poi quello che fanno tutti gli iceberg, o almeno i più coraggiosi, pensava lui. Il nostro lui è un uomo-iceberg di Ilulissat, è il mese di giugno del 1952, il pack di Ilulissat si è sbriciolato, e ha capito che è il momento di partire. Con una mossa segreta passata sotto il nome di Operation Blue Jay la comunità Inuit di Thule ha sgomberato un centinaio di chilometri a nord nella New Thule per fare spazio alla Thule Air Base, la base militare più a nord del mondo della United States Air Force, gli americani pagano la loro posizione ai danesi. La chiamano la Guerra Fredda. A Melville Bay l’aria è così tiepida e il mare così materno che i kayak verranno issati sulle slitte e messi in acqua ai margini del ghiaccio per recuperare uccelli e foche e arpionare narvali. L’ufficiale Andreas Lund-Drosvad, chiamato Suko, membro della Syssel Council Chamber della colonia danese di Upernavik da poco sciolta, sta allestendo la sala riunioni a museo della città e contemporaneamente conquistando il record di caccia al beluga prima di tornare definitivamente in Danimarca: 4.999 esemplari catturati con la rete.
La Terra è in un’era interglaciale, tra poco tutto il mondo a portata di mano si richiuderà in un deserto di ghiaccio, e “poco” è il tempo d’orologio di migliaia di anni che mette paura a un geologo o a un ghiacciaio. Se a questo aggiungi che è estate e il mare è aperto solo per qualche mese, allora è proprio il momento buono per partire. Uomo-iceberg vuole viaggiare, vuole vedere il mondo temperato, anche oltre quei 30 gradi di latitudine che stanno tra Ilulissat e New York City, se mai sarà possibile. Lui è tozzo, non sembra certo un cigno, ma persino nell’adolescenza degli iceberg non è motivo di vergogna, essere un po’ bassetto aiuta soprattutto se vuoi scivolare più in fretta giù per il Kangia, il fiordo gelato, e non restare incagliato nel fondo. A quel punto puoi sempre contare sugli amici che spingono. E poi c’è un rischio che tutti conoscono e il fallimento in quel caso è disperatamente vicino: finire nel cimitero degli iceberg di Disko Bay, praticamente dietro l’angolo, come cadere nella prima buca del flipper senza neanche essersi divertiti un po’. A vederlo da turisti è uno spettacolo, ma se sei un iceberg che vuole viaggiare non hai fatto tanta strada. Per farla breve, a un certo punto il ragazzo lo disse al vecchio padre, che lo ascoltò, capì le sue intenzioni e che la passione che lo spingeva era sincera e gli rispose: se vuoi partire, devi farlo in grande, ai massimi livelli, devi arrivare dove nessuno è arrivato.
Ad esempio all’arcipelago delle Azzorre, a una latitudine Nord che varia da 36°55’ e 39°44’. Le megattere del fiordo si passavano la voce in quel loro linguaggio che era parola, amore e lutto insieme: un iceberg vuole vedere il mondo. Lui partì e poi venne una notte bella come tutte le altre, finché un faro sparato sugli occhi lo scosse: un fascio lungo, incredulo, irrequieto di luce bianca. Aspetta un attimo, questo è un occhio di bue da palcoscenico! Si immaginò che avrebbe fatto notizia, lui e la sua peripezia in pieno oceano Atlantico, e invece era una grande nave di lusso. Che lo studiava e ragionava una manovra dolce, per non svegliare l’uomo-iceberg e i suoi passeggeri. Buon viaggio, signori.
La Groenlandia ogni anno versa 281 miliardi di tonnellate di ghiaccio nell’oceano, quasi quanto basta a causare un millimetro di innalzamento del livello del mare ogni anno. L’acqua proviene dallo scioglimento della calotta di ghiaccio che sfocia in mare e il Sermeq Kujalleq, o Jakobshavn Isbræ, è il ghiacciaio che ne immette di più, di anno in anno il più vulnerabile. Oggi cammina di quaranta metri al giorno e il fronte del ghiacciaio si sta ritirando a una velocità galoppante. Il 90% degli iceberg delle coste del Newfoundland e del Labrador in Canada provengono dalla Groenlandia occidentale e in passato un iceberg ha letteralmente navigato fino alle Azzorre e lì è stato avvistato e registrato.