La mappa, la carta topografica, non è soltanto una rappresentazione simbolica di una porzione di spazio piano. La mappa indica, descrive, allude a un percorso. Stabilisce dei punti fermi e precisi: dove ci si trova e dove si potrebbe andare. La stessa cosa avviene quando si osserva l’immagine di un labirinto. In sostanza ogni rappresentazione grafica di un labirinto è una mappa ma non ogni mappa ha la complessità e la sottigliezza perfida di un labirinto. Infatti quest’ultimo raffigura il luogo dove ci si perde, dove si cerca una meta pur avendo poche speranze di trovarla, di individuarla senza aver incontrato vicoli ciechi, superato ostacoli naturali o artificiali che non danneggiano ma fanno sprecare tempo e soprattutto cercano di mettere ansia e far perdere la speranza di una uscita dall’incubo oppure, al contrario, della conquista dell’obiettivo agognato che sta al suo centro.
Infatti:
Ci sono due tipi di labirinti: quelli centrifughi e quelli centripeti. Nei primi lo scopo è la fuga dalla camera centrale verso l’esterno. Negli altri si parte da un precisa posizione esterna e si procede verso l’interno fino a un punto predeterminato. La combinazione di questi due tipi genera un labirinto con un ingresso e un’uscita
Ci sono due tipi di labirinti: quelli che hanno un percorso lineare e quelli ramificati. I primi, meglio definiti come “unicursali” alternano tratti rettilinei con angoli o curve in una serie di continue circonvoluzioni ma senza mai presentare un bivio, una possibilità di decisione. In sostanza, il percorso è obbligato e ben rappresenta la tortuosità e la fatica e il tempo verso il conseguimento dell’obiettivo. I labirinti “multicursali”, invece, pongono a ogni bivio una scelta. Se nei primi è impossibile perdersi, nei secondi è molto facile girare a vuoto fino alla rassegnazione.
Ci sono due tipi di labirinti: quelli che hanno un solo punto di partenza e uno di arrivo e altri che ne hanno più di uno sia all’inizio che alla fine. In questo caso i percorsi sono totalmente diversi e indipendenti e non possono intersecarsi se non per conseguire obiettivi diversi da un’unica partenza o avere due partenze per un unico obiettivo.
Ci sono due tipi di labirinti: quelli i cui bivi hanno diramazioni ad albero e altri con “anelli” interni. Nei primi, meglio definiti come “semplicemente connessi”, si può raggiungere l’obiettivo semplicemente tenendo continuamente la destra (o la sinistra) anche al costo di un lungo percorso. Negli altri è necessario lasciare un segno, un simbolo di riferimento, nei bivi in cui si è già transitati per evitare di entrare in un circolo vizioso.
Ci sono due tipi di labirinti: quelli a visione completa del percorso e quelli a visione parziale. I primi sono formati da immagini bidimensionali (su carta, su pavimento, su muro) e sono facilmente percorribili con il solo sguardo. Negli altri, formati da siepi o muri e da percorrere camminando, la difficoltà di un percorso anche semplice si incrementa fino ad arrivare al panico.
Ci sono due tipi di labirinti: quelli bidimensionali e quelli tridimensionali. In questi ultimi si esce dal piano con un ponte (o una galleria sotterranea) e si possono quindi creare incroci nei percorsi su livelli che non si incrociano. Il loro tracciato è sostanzialmente una sommatoria di tanti diversi labirinti quanti sono i piani che si sovrappongono. Paradossalmente, con dei semplici accorgimenti grafici si può raffigurare su un piano un labirinto tridimensionale.
Ci sono due tipi di labirinti: quelli facili e quelli complessi. I primi allenano gli occhi e le mani dei bambini a seguire un tracciato senza distrarsi e, soprattutto, senza abbandonare la fiducia nel conseguimento dell’obiettivo. Gli altri si attorcigliano sempre più su se stessi fino a riuscire a rappresentare metaforicamente le intricate circonvoluzioni del cervello o quelle delle impronte delle mani.