Il paesaggio che circonda la mia casa in Svezia può essere ingannevole. Le attività degli uccelli sono diluite dalla vastità degli spazi aperti pianeggianti e del cielo, e ciò dà l’impressione che vi accada poco. Nel gennaio 2015, avendo il vago sentore che le loro attività potessero essere più frequenti di quanto pensassi in un primo tempo, ho deciso di cercare di attirare gli uccelli dal cielo. Sul limitare di un campo vicino a un ruscello ho piantato un posatoio del diametro di sei centimetri, sotto forma di palo di legno alto più o meno un metro e mezzo. Dirimpetto, ne ho piantato un secondo, delle stesse dimensioni, sul quale ho fissato una telecamera con sensore di movimento. Pochi giorni dopo, quando sono andato a controllare la telecamera, con mia grande sorpresa ho constatato che aveva funzionato. Il palo aveva attirato gli uccelli dal cielo, offrendo loro un posto per fermarsi, mangiare, accudire i piccoli e guardarsi attorno. Ne sono rimasto affascinato. Le immagini erano spesso confuse, gli uccelli insoliti e in pose stravaganti come contorsionisti, ma le forme e i profili morbidi delineati dai loro corpi e dalle loro ali erano sensazionali. Dalla finestra della mia cucina, il palo sembrava un fiammifero nella pianeggiante distesa, eppure l’assenza consentiva agli uccelli di essere ancora più presenti nella mia mente. Pensavo a quello che accadeva sul palo anche quando ero lontano dal Paese.
Perlopiù si trattava di esemplari di specie che non avevo mai visto prima, anche se ne ho riconosciuto alcune grazie alla mia ossessione adolescenziale per la vita degli uccelli in città, determinante nel tempo per accrescere il mio interesse e fare fotografie a Bristol. Il mio stato d’animo in questo nuovo lavoro mi ha riportato indietro a quegli anni, come a completamento di un cerchio. Questo nuovo esercizio è diventato un modo involontario per conoscere sia il comportamento degli uccelli sia quello dei singoli esemplari. Alcuni erano piccoli, alcuni grandi, alcuni avevano personalità particolari, erano assai vivaci e assomigliavano a persone di mia conoscenza. Sono molto attratto dalle forme esibite dagli uccelli in volo, dagli uccelli appollaiati e da quelli a metà strada: gli artigli stretti sporgono appena dalla superficie del paletto, le piume traslucide sono orientate all’esterno per mettere in mostra motivi e disegni, immagini nitide come quelle di un catalogo, e anche quelli malridotti, bagnati o scompigliati dal vento. Le forme spesso evocano immagini di uccelli che suonano strumenti a corda, o indossano mantelli e maschere, si esercitano o stridono. Sono rimasto colpito anche da come l’inquadratura rettangolare della telecamera fissa preimpostata offrisse un promemoria delle variazioni infinite di un’unica scena nel corso del tempo, facendo capire che nulla si ripete due volte in modo identico.
Sono trascorsi cinque anni ormai dall’inizio del progetto e il paletto di legno flagellato dal tempo è diventato parte del paesaggio a tutti gli effetti, come se fosse sempre stato lì. Spesso immagino che sia una meridiana che in qualche caso cattura il percorso del sole. Nei mesi estivi, il clima secco vi fa apparire fessure e il legno diventa friabile. In autunno, il paletto scurisce di tonalità assorbendo l’acqua e favorendo la crescita e la diffusione del muschio. Con il passare del tempo quel posatoio di legno largo sei centimetri è diventato più liscio, come se fosse delicatamente levigato dalle molteplici zampe che vi sono atterrate. La venatura del legno è più accentuata dove gli artigli hanno graffiato gli anelli di accrescimento. Da allora ho imparato che Skåne, la regione dove vivo, ospita tra le 192 e le 250 specie di uccelli originari della Svezia.
The Pillar, una serie di fotografie di Stephen Gill, con didascalie di Karl Ove Knausgård, è stato pubblicato da Nobody Books (nobodybooks.com)